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Affitti con cedolare secca: ecco cosa si rischia con l'inflazione

Con l’aumento dell’inflazione conviene utilizzare la cedolare?

Affitti con cedolare secca: ecco cosa si rischia con l'inflazione

Quando si affitta o si prende in affitto un appartamento, le domande da porsi sono davvero tante sia da parte del locatore che del locatario. Di certo quello dei costi, sia in termini di canone da versare che di tasse da pagare, è una delle questioni principali che per molti aspetti è stato risolto con la cedolare secca, regime opzionale per i contratti di locazione di immobili a uso abitativo che prevede il pagamento di imposte prefissate al 10% o al 21% per il proprietario dell'immobile, a prescindere dal proprio scaglione Irpef di riferimento.

Utilizzare questo regime, che per molti aspetti ha contribuito a contrastare il problema degli "affitti a nero", prevede alcuni vincoli che ora, con l'aumento costante dei tassi di inflazione, potrebbe rendere non più conveniente per il locatore affittare con la cedolare.

Entriamo nel dettaglio e cediamo perché.

Come funziona la Cedolare secca

Si tratta di un regime facoltativo che prevede il pagamento di un’imposta sostitutiva dell’Irpef e delle addizionali escludendo alcune altre spese tra cui, ad esempio, l’imposta di registro e l’imposta di bollo, ordinariamente dovute per registrazioni, risoluzioni e proroghe dei contratti di locazione.

Gli immobili per cui è possibile affittare con cedolare secca sono quelli appartenenti alle categorie catastali da A1 a A11 (esclusa l’A10 - uffici o studi privati) purché locate a uso abitativo.

I contratti possono essere di qualunque genere (4+4, 3+2, transitori) e si può decidere l'accesso a questo regime agevolato anche su contratti vigenti così come il locatore ha comunque la facoltà di revocare l’opzione in ciascuna annualità contrattuale successiva a quella in cui è stata esercitata; in quest’ultimo caso la revoca deve essere effettuata entro 30 giorni dalla scadenza dell’annualità precedente.

Quanto costa la cedolare

Questo regime "agevola" il proprietario ad affittare perché prevede un’aliquota del 21% sul canone di locazione annuo stabilito dalle parti escludendo, dunque, il canone dal reddito complessivo con i relativi scaglioni Irpef.

Facciamo un esempio pratico. Una persona con reddito da lavoro di 60mila euro arriva ad uno scaglione del 41%; qualora abbia una seconda casa da affittare, nel caso in cui la locazione avvenisse con il regime normale il canone pagato dall'affittuario si aggiungerebbe al reddito da lavoro di 60mila euro e, dunque, sarebbe soggetto al medesimo scaglione Irpef.

Nel caso in cui, invece, si decidesse di utilizzare la cedolare secca, il canone pagato dall'affittuario non rientrerebbe nel reddito complessivo venendo tassato automaticamente al 21%.

Lo scaglione può arrivare addirittura al 10% per i contratti di locazione a canone concordato relativi ad abitazioni ubicate:

  • nei comuni con carenze di disponibilità abitative (articolo 1, comma 1, lettere a) e b) del decreto legge 551/1988). Si tratta, in pratica, dei comuni di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia e dei comuni confinanti con gli stessi nonché degli altri comuni capoluogo di provincia
  • nei comuni ad alta tensione abitativa individuati dal Cipe.

Si nota subito la convenienza di questo regime fatto salvo per il fatto che sul reddito assoggettato a cedolare e sulla cedolare stessa non possono essere fatti valere rispettivamente oneri deducibili e detrazioni.

Cosa succede con l'aumento dell'inflazione

L'aumento dell'inflazione potrebbe causare, però, più di qualche problema. La scelta della cedolare secca implica, difatti, come ricorda l’Agenzia delle entrate: "la rinuncia alla facoltà di chiedere, per tutta la durata dell’opzione, l’aggiornamento del canone di locazione, anche se è previsto nel contratto, inclusa la variazione accertata dall’Istat dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati dell’anno precedente".

Questo significa che, in relazione al canone concordato dalle parti e all'inflazione di oggi, occorre fare "due conti" per capire se continuare o revocare la cedolare da parte del locatore.

Ad esempio, con l'inflazione di agosto all'8,1%, la rivalutazione di un contratto d'affitto di 500 euro sarebbe di 42 euro mensili che, in un anno, significano complessivamente 504 euro.

Per una persona con reddito di 15mila e scaglione irpef al 23%, che fitta la propria seconda casa (magari ereditata dai genitori) passare dalla cedolare al regime ordinario su un contratto di 6mila euro, significherebbe passare da 1260 euro di tasse con la cedolare ai 1380 con lo scaglione al 23%, quindi 120 euro in più. Il proprietario, però, ha la possibilità di aumentare il canone di locazione adeguandolo al nuovo costo della vita e, nel caso di inflazione all'8,1%, come scritto sopra, il nuovo contratto sarebbe non più di 6000 euro l’anno mi di 6480 euro su cui pagherebbe 1496 euro di tasse con lo scaglione al 23%.

Calcolatrice alla mano, a fronte di un aumento di tasse di 236 euro avrebbe maggiori entrate dal contratto di locazione senza cedolare di 504 euro, quindi 266 euro in più.

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