Atac ai privati, ora o mai più

Dieci anni consecutivi di bilanci in profondo rosso. Un debito che ha superato il miliardo e trecento milioni. Assenteismo alle stelle: ogni giorno 750 autisti non si presentano sul posto di lavoro. I certificati medici sono aumentati del 20% rispetto all'anno precedente. Questa è la drammatica fotografia dell'Atac (denunciata anche dall'ormai ex direttore generale Bruno Rota), l'azienda del trasporto pubblico di Roma. Società partecipata dal Comune che ha rappresentato per tutte le amministrazioni succedutesi uno straordinario serbatoio clientelare. L'Atac è un'azienda tecnicamente fallita. La procedura fallimentare dovrebbe essere l'unico esercizio praticabile. Uso il condizionale perché, statene certi, non accadrà. La mentalità del Pubblico non prevede scatti di ragionevolezza; gestisce senza criteri imprenditoriali ricorrendo alla viziosa pratica dei debiti a gogo con le banche come avviene per tutte le partecipate, tanto poi pagano i comuni mortali! L'azionista di riferimento, cioè il Comune, è in stato confusionale. Intanto, il cittadino-contribuente subisce la pratica quotidiana del disservizio e la beffa di pagare tasse locali in costante incremento. Tagliare qui è là, visto il livello di insolvenza raggiunto, è un tentativo sterile. Il rilancio è impossibile. Occorre voltare pagina. Chiudere definitivamente con un'esperienza dove nessuno rispetta più le elementari regole. Liberalizzare è l'unica strada. Che fare, allora? Il Comune, dopo aver promosso una gara in totale trasparenza, si limiti alla fondamentale funzione di controllo dell'attività; mentre ai privati passi la gestione diretta del servizio. Buon senso, e nulla più.

Peccato che nel Belpaese anche le cose più normali appaiono ostacoli insormontabili. Perché ci si scontra sempre con la tentacolare mano pubblica. Che mai si arrende all'evidenza. Che mai fallisce. Non se ne può più!

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