Economia

Biden punta 50 miliardi per la crisi dei chip

Il presidente convoca 19 big di auto e tech per risolvere la carenza di produzione nazionale

Biden punta 50 miliardi per la crisi dei chip

Davide è piccolo, costa appena un dollaro, ma sta mettendo sempre più in ginocchio Golia, i giganti dell'automobile statunitensi. Problema serio, la penuria di semiconduttori. Ormai introvabili ovunque, l'America sta pagando a caro prezzo le stime errate di approvvigionamento nel pieno della pandemia e il «compro tutto» della Cina che solo nel mese di marzo si è accaparrata di quasi 60 miliardi di «pezzi».

L'America ha scoperto la propria vulnerabilità: troppo pochi i chip prodotti in patria. Appena il 12% del totale, quando ne servirebbe almeno il triplo. Così, di fronte alla decisione presa dal settore dell'automotive di bloccare le linee di assemblaggio e tagliare la produzione, Joe Biden si è reso conto di avere un problema da risolvere in fretta. Il presidente ha quindi convocato in videoconferenza i ceo di 19 aziende, tra cui quelli di General Motors, Alphabet e Intel e ha messo sul piatto 50 miliardi di dollari, una misura-tampone che gode dell'appoggio bipartisan del Congresso.

La rapidità d'azione è essenziale. GM e Ford hanno calcolato che la carenza di chip potrebbe costare addirittura 4,5 miliardi di ricavi quest'anno, cioè una buona fetta degli oltre 60 miliardi di fatturato destinati ad andare in fumo, secondo AlixPartners, a livello globale. Anche se i produttori prevedono di recuperare entro l'estate parte della produzione andata perduta, i tempi per affrancare l'America dalla chip-dipendenza non saranno brevi a causa dei costi e dell'impegno richiesto per installare gli impianti. Quindi, avvertono gli esperti, è probabile che la scarsità continui per mesi, e forse fino al 2022.

Ma oltre al danno inferto all'industria delle quattroruote, la Casa Bianca deve misurarsi con un altro fenomeno prodotto dalla mancanza di semiconduttori: i rincari dei listini delle auto. I ritocchi verso l'alto già si vedono, visto che i prezzi viaggiano a una media di 40mila dollari. Un primato, benchè negativo. Il rischio è che la situazione impatti sulla ripresa (gli Usa sono attesi a fine anno a una crescita del 6,5%) e surriscaldi l'inflazione che, anche in marzo, ha alzato la testa (aumento dello 0,6% mensile, +2,6% annuo). La Fed considera temporanea l'ascesa dei prezzi, ma la risalita dei rendimenti dei T-bond dà la misura dei timori degli investitori circa un ritiro anticipato degli aiuti da parte della banca centrale. Inoltre, proprio un recente rapporto presentato alla Casa Bianca dalla Semiconductor Industry Association sottolinea come la crisi del chip sia un innesco di tensioni inflazionistiche, visto che la corsa verso l'autosufficienza comporterà un investimento iniziale da almeno 1.

000 miliardi destinato a far salire i prezzi dei semiconduttori fino al 65%.

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