Camilla Conti
Fate presto. Sembra essere questo il messaggio lanciato dal mercato a Unicredit che ieri ha dovuto fare anche i conti in Borsa con la «scomunica» lanciata dal numero uno del fondo Atlante, Alessandro Penati. «Avete mai visto una banca che manda a casa un ad e non ne ha uno pronto? C'è da prendere gli azionisti e mandarli tutti a casa», ha tuonato Penati venerdì scorso.
Il risultato? Ieri il titolo dell'istituto di piazza Gae Aulenti ha perso l'1,9% a 2,5 euro ritornando sui minimi toccati nel 2012. Da inizio anno il calo sfiora il 50% pagando il prezzo delle voci su un cambio al vertice iniziate a circolare appunto a gennaio. Solo lo scorso 24 maggio l'ad Federico Ghizzoni e il cda hanno raggiunto un accordo sul passo indietro del banchiere ma il nome del suo successore ancora non si vede. Se fino a qualche giorno fa il cda del 9 giugno sembrava la data giusta per arrivare a una scelta condivisa dopo la nomina del cacciatore di teste Egon Zehnder, oggi il mercato teme uno stallo per i veti incrociati sulla rosa di candidati. Di certo, la mappa frastagliata dell'azionariato non aiuta: il fondo degli Emirati Aabar è il primo azionista con il 5%, seguito da BlackRock poco sotto il 5% e a ruota da Fondazione Cariverona con il 3%, Central Bank of Libya con il 2,92% e Fondazione Crt con il 2,5 per cento.
«Il problema è che a governare l'azienda sono gli esponenti dei soci che hanno perso nell'assemblea del maggio 2015 ma che avevano presentato una lista di maggioranza», fa notare un analista. Che la confusione sia tanta, e poche le certezze, lo dimostrano anche i papabili amministratori usciti sulla stampa nell'ultimo mese - una decina, comprese le «autocandidature» - che vanno ad aggiungersi alle dichiarazioni di fonti anonime. Come quelle «vicine» alla Fondazione Cariverona citate ieri da alcune agenzie secondo cui il cda di Unicredit dovrebbe concentrarsi «prioritariamente e con la necessaria celerità» sulla selezione del sostituto di Ghizzoni». Mentre l'unica dichiarazione «di voto» ufficiale l'ha fatta Francesco Gaetano Caltagirone, socio con l'1%, che ha invocato «un banchiere retail».
Nel frattempo, i riflettori di Piazza Affari restano accesi anche sulle popolari: il Banco ha superato il primo test all'avvio delle negoziazioni dei diritti di opzione sulla ricapitalizzazione da un miliardo propedeutica alla fusione con Bpm (+3,17%). Le azioni dell'istituto veronese, dopo lo stacco del diritto, ieri hanno guadagnato il 5,04% a 3,08 euro, mentre i diritti sono balzati del 14,7% a 1,1 euro. Il combinato azione più diritto ha messo a segno un +7,6% rispetto alla chiusura di venerdì. Al momento, per un nuovo investitore interessato a entrare nel capitale del Banco la strada più conveniente è quella dell'acquisto del diritto: il prezzo implicito di un titolo del Banco agli attuali corsi del diritto e in base alle condizioni dell'operazione (9 nuove azioni ogni 7 possedute, da sottoscrivere a 2,1 euro ciascuna) è infatti di 3,05 euro.
Più incerto l'esito dell'aumento da 1 miliardo di Veneto Banca che partirà domani cui si è fatto garante lo stesso Atlante (subentrando al consorzio capitanato da Intesa) a condizione però di avere almeno il 50,1% di Montebelluna.
L'associazione «Per Veneto Banca», che riunisce l'8% dei
soci (in gran parte industriali e professionisti), ha votato all'unanimità l'adesione alla ricapitalizzazione. Ma bisogna vedere se alle parole seguiranno i fatti visto che vanno tirati fuori dal portafoglio 250 milioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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