di Marcello Zacché
Alla vigilia del consiglio di sorveglianza della Banca Popolare di Milano, in agenda domani, il presidente Filippo Annunziata sta pensando alle dimissioni. Per l'istituto di piazza Meda sono ore cruciali: a un anno e mezzo dall'uscita di Ponzellini, successivamente indagato ed arrestato, e dall'arrivo della cordata Mediobanca-Bonomi, l'equilibrio è di nuovo saltato. Ora la posta in palio è la trasformazione in spa, con l'azzeramento finale di ogni legame con il passato. E tra la lista di soci-dipendenti che ha occupato il cds e il consiglio di gestione guidato da Andrea Bonomi, ideatore del progetto spa, si è formato un solco sempre più profondo: la resa dei conti è vicina.
Le pressioni su Annunziata, in corso da tempo, sono andate aumentando in questi ultimi giorni, specie dopo che si è saputo, tramite il Corriere della Sera, che la procura di Milano lo ha indagato per false dichiarazioni ai pm nell'ambito dell'inchiesta Bpm-Bplus. Ma la posizione di Annunziata all'interno della banca è diventata via via più difficile anche dopo una serie di incidenti interni, che si sono sovrapposti all'inchiesta di cui sopra, nell'ambito della quale i pm milanesi Roberto Pellicano e Mauro Clerici, ipotizzano che gli ex vertici della banca riescano ancora ad avere influenza sull'istituto, anche tramite l'agire del cds.
Quindi i fronti sono due. Per quanto riguarda quello societario, Annunziata è finito nel mirino dell'organismo di vigilanza interno, presieduto da Gherardo Colombo. Il problema riguarda uno sconfinamento continuato, relativamente a un fido ricevuto dalla banca. Le conclusioni dell'ispezione di Colombo, messe per iscritto in una relazione della metà del marzo scorso, hanno richiamato l'articolo 136 del Testo unico bancario (sulla disciplina delle obbligazioni che gli esponenti bancari contraggono con il loro istituto), che prevede pene severe e, di conseguenza, la segnalazione all'autorità giudiziaria. Sulla questione Bonomi, che come presidente del cdg condivide le conclusioni di Colombo, a fine marzo ha chiesto ufficialmente al cds quali fossero le iniziative che avrebbe intrapreso. Ma la cosa, secondo quanto ricostruito dal Giornale, si è fermata lì, non avendo il cds comunicato al cdg ulteriori sviluppi. Al punto che lo stesso Bonomi ne ha chiesto conto proprio qualche giorno fa scrivendo sia ad Annunziata, sia ai vicepresidenti del cds Giuseppe Coppini e Umberto Bocchino, che avrebbero consigliato ad Annunziata di restare al suo posto per evitare scossoni al cds. Ma non è tutto.
Per Annunziata una nuova «trappola» è scattata il 4 aprile scorso, quando i consiglieri Maurizio Cavallari, Ruggiero Cafari Panico ed Enrico Castoldi hanno presentato al cds la loro «idea per salvare l'anima della cooperativa Bpm». In altri termini un progetto alternativo a quello della spa.
Secondo le cronache del giorno stesso e dell'indomani, il progetto è stato esaminato dal cds. Ma questo (assimilato, nel sistema dualistico, al collegio sindacale), non avrebbe alcuna competenza su un progetto industriale. L'iniziativa andava segnalata alla Banca d'Italia come prevede l'articolo 52 dello stesso «Tub»: questa, almeno, è la posizione dei legali della Bpm e di Bonomi, che l'ha esplicitata con una lettera indirizzata ad Annunziata il 5 aprile. Il presidente del board di controllo avrebbe risposto qualche giorno dopo, minimizzando l'accaduto. Ma il tema resta caldo e potenzialmente in grado di avere nuovi sviluppi.
In realtà sulla tenuta di Annunziata si gioca una partita più ampia, che è quella dei rapporti di forza nel cds, ovvero dei sindacati interni al gruppo, decisivi nel determinare gli equilibri delle prossime assemblee: quella del 27 sul bilancio e quella del 22 giugno sull'aumento di capitale da 500 milioni e la spa.
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