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Cairo al 60% di Rcs. Della Valle fa ricorso

Mr Tod's: «Consob non ha vigilato. Io bloccato dai salotti»

I giochi su Rcs si chiudono con Urbano Cairo a un passo dal 60% del Corriere della Sera. Nell'ultimo giorno utile per migrare dall'Opa di Imh all'offerta di Cairo Communication, il patron de La7 è infatti salito al 59,69% del gruppo editoriale milanese (solo nell'ultima giornata hanno «migrato» 19.770.358 titoli).

Cairo aveva ottenuto poco meno del 49% di Rcs alla chiusura dell'Opas il 15 luglio scorso, battendo il concorrente Andrea Bonomi in cordata con i soci storici (Della Valle, Mediobanca, Pirelli e Unipol) che si era fermato al 37,7 per cento.

Ora si apre la partita sulla governance: qualche novità è attesa già in occasione della riunione dell'attuale board di Rcs che il 3 agosto dovrà esaminare i conti semestrali del gruppo. Se alcuni componenti decidessero di dare le dimissioni dal consiglio, si aprirebbe per Cairo la possibilità di prendere subito in mano le redini della gestione senza aspettare i canonici 40 giorni per l'assemblea dei soci sul rinnovo del cda.

Sullo sfondo, Imh non si arrende alla sconfitta che con Diego Della Valle e Pirelli ha presentato ricorso al Tar Lazio contro la decisione della Consob che la settimana scorsa aveva lasciato che l'offerta di Cairo facesse il suo corso senza provvedere alla sospensione cautelare dell'offerta inseguito agli esposti presentati dagli stessi soggetti sul tavolo del Garante e in Procura.

Ma ad alzare i toni dello scontro è stato ieri soprattutto Della Valle, oggi al 7,3% di Rcs, che ha convocato a sorpresa una conferenza al Principe di Savoia di Milano per spiegare la sua posizione. O meglio, per attaccare duramente la Consob «che è mancata pesantemente durante il periodo delle offerte. Sollecitata a darci risposte determinate, non ha mai replicato a nulla». Nessuna acredine con Cairo nè con i top manager di Intesa che hanno sostenuto l'Opas concorrente, «caso vuole che i protagonisti si conoscano da tempo, i miei rapporti sono ottimi con tutti». Tranne che con «i vecchi marpioni», cui ha dato la colpa se «nella mia storia di Rizzoli ho fatto fatica a toccar palla». Perché «avevano il vero potere che allora era quello che gestiva il Paese come il potere di Romiti, il potere della Fiat e il potere di Mediobanca. Sono uscito allora dal cda di Rcs perché ero in disaccordo con John Elkann, Renato Pagliaro e Giovanni Bazoli».

La conferenza stampa di ieri, per modalità e toni, ha ricordato quella convocata il 4 luglio del 2013 nella sede milanese di Tod's. Nel penultimo giorno utile per sottoscrivere l'aumento di capitale di Rcs, l'imprenditore marchigiano - al tempo azionista con l'8,8% - aveva annunciato di essere pronto a sottoscrivere tutto l'inoptato superando, se necessario, la Fiat che allora possedeva un 20% della Rizzoli.

Quattro giorni dopo aveva scritto all'allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, lanciando un appello a difesa dell'autonomia della stampa ma proponendo anche a tutti i grandi soci, quindi anche a se stesso, di fare un passo indietro. Ad accorgersi delle giravolte era stata anche la Consob che aveva poi convocato mister Tod's il 12 luglio per chiarire la sua posizione.

CC

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