
Campari ha annunciato la cessione di Cinzano al gruppo Caffo 1915 per 100 milioni inclusi i business di grappa e sparkling wine Frattina. Non si tratta di un asset che cambia padrone, ma della chiusura di un capitolo della grande epopea industriale torinese. Cinzano, per quanto oggi possa sembrare un brand secondario nel portafoglio Campari, è un simbolo. Un nome che evocava vermouth e spumanti, ma anche potere e piemontesità.
Gianni Agnelli, che pure sorseggiava Grignolino e Royal Réserve Philipponnat, amava profondamente la Cinzano. Ne intuiva il potenziale, ma forse anche l'eleganza sabauda, la sobrietà brillante e quella vena aristocratica che ben si sposava con l'immagine di casa Agnelli. Tanto che vi insediò, negli anni Ottanta, un suo giovane pupillo: Luca Cordero di Montezemolo. Ufficialmente per rilanciarla, ufficiosamente dicono i maligni per dislocarlo altrove, secondo un celebre e velenoso detto di Cesare Romiti.
Quella parentesi non fu, infatti, trionfale. Brillante nelle pubbliche relazioni, Montezemolo rilanciò il marchio sponsorizzando la challenge di Azzurra all'America's Cup del 1983, ma non produsse abbastanza bottiglie per cavalcare l'onda promozionale. Una falla gestionale che mise in luce la tensione tra l'anima avventurosa del giovane manager e la prudenza dinastica dei Marone Cinzano. Il marchio, fondato nel 1757, venne progressivamente disancorato dalla galassia Agnelli: prima con l'ingresso della Idv inglese (successivamente diventata Diageo), poi con la cessione definitiva nel 1999 a Campari. Da allora, Cinzano è sopravvissuta come storico brand più che come locomotiva commerciale. E ora, appunto, l'addio. Campari, sotto la guida dell'ad Simon Hunt, si concentra sulle etichette forti e razionalizza. I numeri sono chiari: 75 milioni di vendite nel 2024, appena il 2% del totale del gruppo, con un buon margine operativo ma una crescita non overperforming.
Non si può, tuttavia, non notare come un nome così radicato nel tessuto industriale del Nord venga acquisito da un'azienda calabrese. I Caffo, alfieri del Vecchio Amaro del Capo, hanno ambizioni chiare. "Cinzano sarà la chiave per la nostra espansione internazionale", ha dichiarato Nuccio Caffo, ad dell'omonimo gruppo che sotto la sua guida ha già assorbito marchi storici come Borsci, Ferro-China Bisleri e Petrus. Il gruppo entra così di colpo in cento mercati, ereditando know-how, accordi, magazzini e un'allure mitologica che non può essere comprata, ma solo interpretata.
Il paradosso è che, per risorgere, Cinzano dovrà ora svestire il grigio completo torinese e indossare una nuova veste. Più spregiudicata? Più popolare? Meno blasonata ma forse più vitale? Di certo, sarà tutta da reinventare. E magari proprio i Caffo, con un fiuto acuto per il posizionamento globale e l'orgoglio territoriale ben piantato, sapranno restituire a Santa Vittoria d'Alba non solo produzione, ma visione.
Perché, in fondo, i marchi come Cinzano non muoiono. Cambiano padroni, pelle, accento. Ma restano. Nel bicchiere, nel ricordo dell'Avvocato, e forse chissà in una nuovo spot firmato Caffo. Meno sabaudi, ma vivi. Ieri in Borsa Campari ha guadagnato lo 0,7 per cento.