Economia

Che cosa accadrà dopo Quota 100: il piano per lasciare tutto

Tra i banchi del nuovo governo Draghi si è aperta la discussione su come modificare il sistema previdenziale in vista della chiusura della sperimentazione per Quota 100

Che cosa accadrà dopo Quota 100: il piano per lasciare tutto

Il countdown che porta al termine della fase sperimentale sarà a fine del 2021 e la discussione in seno al nuovo governo Draghi su Quota 100 è già iniziata.

Matteo Salvini e la Lega premono per una riconferma della misura ma pare poco probabile che dal ministero del Lavoro arrivi il benestare sulla integrazione della pensione anticipata 62 + 38 nel sistema previdenziale. D'altronde il tema della riforma delle pensioni è in cima alla lista delle cose da fare per il nuovo premier, anche alla luce delle crescenti richieste - o meglio dire pressioni - che arrivano dall'Europa che da tempo chiede all'Italia riforme strutturali in tema previdenziale, facendo diventare questo punto un "arma di ricatto" durante le prime contrattazioni sull'assegnazioni delle risorse comunitarie al nostro Paese, con i cosiddetti "frugali" che sul sistema pensionistico italiano poggiavano buona parte della loro opposizione alla destinazione delle risorse per la ripresa economica.

Questo scoglio, con non poche difficoltà, era stato superato ma l'Ue non ha mai spesso di premere su questo tema e sembra inevitabile che il nuovo governo Draghi debba mettere le mani con un nuovo intervento sulle pensioni già dalle prossime settimane, e lo stop ad una mini-proroga di Quota 100 sembra inevitabile.

I ministri del Lavoro Orlando e dell'Economia Daniele Franco dovrebbero iniziare a lavora sugli interventi partendo da un dossier che il precedente governo Conte 2 aveva redatto al termine della fase di concertazione con le parti sociali; d'altronde l'ex ministro Catalfo aveva riunito una commissione tecnica ad hoc per sviluppare proposte di integrazione o modifiche al sistema previdenziale e le ipotesi sono più di una.

Prima fra tutte quella di costruire un sistema flessibile in cui le finestre di uscita dovrebbero iniziare da 63 anni o 64 con almeno 38 anni di contributi, aumentando di un solo anno la possibilità di pensionamento previsto da Quota 100, ma correggendo in modo significativo i limite di vecchiaia dei 67 anni e con sistemi di tutela per le categorie di lavoratori impegnati nelle attività cosiddette "usuranti".

Un’altra opzione che in qualche modo ingloberebbe Quota 100 potrebbe prevedere il requisito minimo dei 62 anni ma solo a patto che siano presenti 41 o 42 anni di contributi. Questa idea piace ai sindacati ma non troverebbe il “beneplacito” dell’esecutivo.

Ultima opzione - che è anche la più probabile - comporterebbe delle modifiche significative sul montante contributivo versato; si tratterebbe di una correzione attuariale riguardanti gli anni di versamento precedenti al 1996 e all'ingresso della riforma Dini; in sintesi si avrebbe un ricalco fatto in proporzione al rapporto tra il coefficiente della pensione a 67 anni ed il coefficiente di uscita a 63 o 64 anni, innescando una ricalcolo importante dello schema di indicizzazione delle pensioni. Questa ipotesi potrebbe trovare maggiori consensi tra i banchi del governo in quanto dovrebbe avere una minore uncidenza sulle casse dell'Inps che, come riportato in un precedente articolo del

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