Coronavirus

Coronavirus, scontro tra industriali e sindacati. Metalmeccanici in sciopero

Il presidente Vincenzo Boccia: "Siamo in un’economia di guerra". Landini: "Dobbiamo tutelare salute dei lavoratori". Operai lombardi in sciopero

Coronavirus, scontro tra industriali e sindacati. Metalmeccanici in sciopero

Sotto la lente ci sono le fabbriche italiane. E i loro lavoratori. Quel tessuto produttivo in difficoltà che tra coronavirus e recessione economica non vede via di uscita. La crisi non è solo sanitaria. Ma anche economica e sociale. La tensione nei reparti delle aziende si inizia a sentire. Al centro, il decreto. L’ennesimo firmato dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che ridimensione ancora una volta le attività che possono rimanere aperte al tempo dell’epidemia. "Siamo entrati in un’economia di guerra". A parlare è il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, intervistato dalla trasmissione Circo Massimo su Radio Capital.

"Garantiamo le filiere essenziali, ma queste filiere a volte sono trasversali. Per esempio, abbiamo aziende del settore auto che però producono valvole per i respiratori. Ci sono poi quelle aziende che si stanno riconvertendo da altri settori per produrre mascherine e vanno salvaguardate. Con questo decreto diamo un grande atto di responsabilità. Non chiediamo flessibilità per aprire altri settori".

"Il 70% del settore produttivo chiuderà", spiega. E dobbiamo prepararci. "Dobbiamo garantire che i prodotti arrivino in supermercati e farmacie, ma da oggi dobbiamo considerare anche come far riaprire e riassorbire i lavoratori. Se il Pil è di 1.800 miliardi all’anno vuol dire che produciamo 150 miliardi al mese. Se chiudiamo il 70% delle attività vuol dire che perdiamo 100 miliardi ogni trenta giorni". L’economia non deve prevalere sulla salute, ma Boccia fa presente che tantissime aziende per crisi di liquidità alla fine dei giochi potrebbero non riaprire. Ed è un rischio che va scongiurato.

"Un'azienda che arriva a fatturato zero come immaginiamo che possa sopravvivere?", si chiede Boccia. Dalla preoccupazione bisogna arrivare alle soluzioni. "Abbiamo proposto di allargare il fondo di garanzia per dare liquidità di breve alle imprese, ne usciremo con più debito, ma dovrà essere pagato a 30 anni come se fosse un debito di guerra, perché così è. Poi vedremo quanto dura. Se sono 15 giorni è un conto, se sono mesi un altro". Parole dure. Parole di chi sa che presto le aziende, piccole, medie e grandi avranno bisogno di aiuto per andare avanti.

I sindacati, intanto, sono sul piede di guerra. In prima line, sulle barricate, c’è Maurizio Landini. Il segretario generale della Cgil chiede trasparenza. E lo fa parlando, come Boccia, ai microfoni di Circo Massimo. "A fronte della stretta, richiesta per combattere il virus, e nonostante l’incontro di sabato sera durante il quale il governo aveva presentato una lista molto stretta di attività da mantenere aperte e che riguardava i servizi essenziali, questa lista domenica si è allargata". La domenica mattina, Confindustria, con una lettera, ha chiesto di allargare le maglie del decreto.

"A quel punto abbiamo preso una posizione: noi non siamo d’accordo che attività non essenziali mettano a rischio la salute dei cittadini. Da quando lo abbiamo fatto presente - aggiunge - una serie di settori che erano stati aggiunti, poi sono stati tolti". Ed è un primo risultato. Ma ancora adesso continuano a esserci settori che secondo i sindacati non sono essenziali. La guerra, dunque, si combatte anche tra le linee di produzione. Tra sindacati e Ceo di imprese. Tra lavoratori e imprenditori. Tra operai e padroni.

I metalmeccanici lombardi, intanto, annunciano uno sciopero regionale con lo scopo di ottenere una modifica del Dpcm governativo sulle chiusure delle fabbriche, giudicato troppo blando. "Riteniamo che l’elenco dei settori indispensabili sia stato allargato eccessivamente - afferma una nota di Fiom, Fim e Uilm Lombardia - ricomprendendovi settori di dubbia importanza ed essenzialità. Contemporaneamente, il decreto assegna alle imprese un’inaccettabile discrezionalità per continuare le loro attività con una semplice dichiarazione alle prefetture. Tutte scelte che piegano, ancora una volta, la vita e la salute delle persone alle logiche del profitto: noi non ci stiamo".

La tensione è palpabile. Il Paese, messo a dura prova dal coronavirus, reggerà anche questo scontro?

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