Chi ieri si aspettava che la sentenza della Corte di Giustizia Ue sul caso sloveno potesse sbloccare le trattative fra Roma e Bruxelles sul paracadute pubblico da aprire in caso di emergenza per le banche italiane è rimasto deluso.
Il giudice di Lussemburgo ha infatti bocciato il ricorso presentato lo scorso 18 febbraio. Al centro della causa c'era il salvataggio degli istituti di credito sloveni deciso nel 2013 da Lubiana: un'iniezione da 3 miliardi al sistema bancario e il sacrificio dei possessori di obbligazioni subordinate. Questi ultimi hanno fatto subito causa alla banca centrale e agli istituti di credito in diversi tribunali del Paese contestando la cancellazione del capitale di bond e azioni. La Corte costituzionale slovena si è quindi rivolta alla Corte Ue chiedendo indicazioni sulla validità e l'interpretazione delle disposizioni contenute nella comunicazione della Commissione Ue sul settore bancario, applicata dal primo agosto 2013. Ovvero le misure di «bail-in» che subordinano la possibilità di concedere aiuti di Stato al settore bancario all'obbligo di condividere gli oneri tra azionisti, obbligazionisti e correntisti sopra i 100mila euro. Ebbene, i giudici di Lussemburgo ieri hanno risposto che imporre queste perdite è legale (il ricorso sloveno è stato quindi bocciato) ma non vincolante. Secondo la Corte Ue, infatti, gli stati membri non sono dunque obbligati a far pesare i costi del salvataggio di una banca su azionisti e creditori subordinati prima di un intervento pubblico. Essi, infatti, «conservano la facoltà di notificare» a Bruxelles «progetti di aiuti di stato» che «non soddisfano i criteri» e «la Commissione può» autorizzarli «in circostanze eccezionali».
Allo stesso tempo, nel resto della sentenza sul caso sloveno, i giudici sottolineano però che se un Paese non adotta misure di bail-in deve assumersi il «rischio di vedersi opporre una decisione della Commissione che dichiara l'incompatibilità di tali aiuti con il mercato interno».
In Borsa, la prima reazione al verdetto è stata negativa: Mps è arrivata a cedere più del 6% per poi chiudere in calo del 3,29 per cento. Lo Stato, secondo le ultime indiscrezioni, potrebbe garantire non solo la tranche senior della cartolarizzazione dei crediti deteriorati attraverso lo strumento messo in piedi dal governo (i cosiddetti Gacs) ma anche la parte più rischiosa, quella junior. Giù, ma lontano dai minimi di seduta, anche Bpm (-1,9%), Carige (-1,7%), Banco Popolare (-0,7%), Unicredit (-0,27%) e Intesa (-0,62%). I trader giustificano i ribassi anche con le prese di beneficio su un settore che ha corso molto di recente e, nel caso specifico del Monte, della situazione di attesa in vista della lettera definitiva sulle sofferenze da smaltire in arrivo dalla Bce e alla vigilia del verdetto sugli stress test fissato per il 29 luglio.
«In realtà sono state solo ribadite le regole del gioco ma il parere un po' cerchiobottista
della Corte europea sul caso sloveno è comunque servito a sottolineare che i bail in non sono automatici», commenta un investitore da Londra. «Certo - aggiunge - che si possa ignorare la legge non significa che si dovrebbe».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.