
Pierluigi Bonora
Per quale motivo Great Wall prima lancia il sasso e poi ritrae la mano? In un primo tempo il gruppo cinese sostiene di puntare sul marchio Jeep, quindi di non disdegnare un'acquisizione di tutta Fca. Ieri, sollecitata dalle autorità di Borsa, Great Wall precisa che «la società ha posto attenzione e ha condotto una valutazione su Fca, ma finora non vi è ancora nessun progresso concreto». E aggiunge: «Non c'è assolutamente certezza se si procederà con un tale progetto, che non deve danneggiarne i risultati finanziari. Inoltre, il gruppo non ha avviato rapporti con il vertice di Fca o colloqui (come precisato fin dai primi rumors dal Lingotto, ndr) né ha siglato accordi con la stessa». Risultato: il titolo Great Wall è stato sospeso dalle quotazioni a Hong Kong e Shanghai (le contrattazioni riprendono oggi), mentre le azioni Fca si sgonfiano e chiudono a 11,47 euro (+0,26%) dopo aver toccato un minimo di 11,10 euro. Le indiscrezioni su gruppi cinesi interessati a Fca, o parte di essa, in pochi giorni hanno però fatto guadagnare a Fca, alla Borsa di Milano, oltre il 16%. L'impressione è che Great Wall, attraverso i suoi mordi e fuggi, abbia voluto testare le reazioni del mercato e quelle politiche nel caso dovesse recapitare un'offerta (garantita dal governo di Pechino) al presidente di Fca, John Elkann.
Allo stesso tempo, i cinesi hanno messo una pulce nell'orecchio dell'ad Sergio Marchionne. Come a dire: «Ci abbiamo fatto più di un pensiero, se ne può parlare». In pratica, una proposta indiretta al Lingotto dopo le porte chiuse che Marchionne ha trovato alla General Motors e al Gruppo Volkswagen. Se la Borsa ha reagito positivamente alle recenti voci in arrivo da Pechino, non è stato così per i sindacati (critica la Fim Cisl) e l'Ue. In proposito, il presidente del Consiglio europeo, Antonio Tajani, ha ribadito che «con la Cina dobbiamo avere buoni rapporti, ma non possiamo indebolire il nostro tessuto industriale cedendo un'impresa come Fca a mani cinesi».
Negli Usa, a parlare, al posto di Donald Trump, sono stati per ora i giornali. Tema centrale: l'ipotesi di una Jeep «cinese» come verrebbe presa dalla Casa Bianca? Il presidente americano finora non si è espresso ufficialmente, ma alcuni media ritengono che, al di là del fattore campanile, a Trump interessa la salvaguardia dei posti di lavoro, particolare che un gruppo cinese garantirebbe non dovendo chiudere o tagliare da altre parti nel Paese.
Morgan Stanley si è intanto esercitata a dare un valore ai marchi del Lingotto: 23 miliardi per Jeep, cioè quasi 15 euro per azione, più dell'intero gruppo. Anche Goldman Sachs ha dato le sue valutazioni: 22,5 miliardi per Jeep; 5,8 miliardi per Maserati; 2,1 miliardi per Alfa Romeo.