"Così salviamo dal fallimento i marchi storici dell'industria"

Manganelli, a capo dei fondi Idea: "Il nostro obiettivo è coinvolgere nel rilancio anche le banche creditrici"

"Così salviamo dal fallimento i marchi storici dell'industria"

In due anni il fondo IDeA CCR, guidato da Vincenzo Manganelli, ha supportato il rilancio del gruppo di illuminazione Targetti, poi ceduto a 3F Filippi, acquisito la maggioranza delle storiche cartiere Pigna, siglato accordi con soci e creditori per l'ingresso nel capitale e rilanciare le cucine Snaidero ed il setificio Canepa, oltre ad aver rilevato i crediti nell'arredo casa di Zucchi. Con un obiettivo: rilanciare le aziende in difficoltà finanziarie che hanno bisogno di capitali per il risanamento e di un nuovo management, e con esse anche i marchi storici del Made in Italy, con una «via di uscita» industriale. Il rilancio delle imprese diventa anche lo strumento per massimizzare il recupero dei crediti deteriorati delle banche e un modo nuovo per risanarli.

La squadra di Manganelli si muove sul mercato attraverso due fondi - Idea Corporate Credit Recovery I e II - gestiti dall'sgr di Dea Capital (gruppo De Agostini). «Siamo partiti nel giugno del 2016 con il primo fondo con otto aziende e 177 milioni di euro di portafoglio crediti, e dopo due anni abbiamo già incassato 80 milioni», spiega Manganelli. Poi, a dicembre 2017 è partito il secondo, con nove società in gestione, cui hanno contribuito Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco Bpm, Bnl, Ubi, Mps, Banca Ifis e Credito Valtellinese, cedendo i crediti vantati. Il veicolo del fondo è dotato, infatti, di un comparto crediti cui contribuiscono le banche e un comparto nuova finanza che raccoglie le risorse degli investitori istituzionali: oltre a DeA Capital, sponsor del fondo, anche fondazioni, assicurazioni, fondi pensione e diversi family office. «Questo schema consente di ridurre drasticamente i tempi della risoluzione della crisi di impresa, dai circa 18-24 mesi di mercato a circa 6-8 mesi»,aggiunge il manager. Come funziona il salvataggio? Quando un'azienda è tecnicamente in default e non riesce ad adempiere alle obbligazioni di pagamento, il fondo può seguire due strade: «se la società richiede supporto finanziario ci proponiamo come nuovi azionisti di controllo, eventualmente convertendo parte del credito in capitale. Fondamentale, se diventiamo soci, è far entrare un ad o un manager chiave in azienda». Il cambio di controllo «deve inoltre avvenire sempre con il consenso dei precedenti azionisti e nel rispetto della storia e dei valori che l'azienda rappresenta. Possiamo anche restare creditori ma con presidi di governance forti e solo se il piano industriale presentato dalla società risulta coerente per il percorso di risanamento». Le banche, dal canto loro, possono deconsolidare il credito e lasciare sostanzialmente inalterato l'assorbimento di capitale migliorarando il recupero di tali posizioni grazie al rilancio industriale delle società.

Per la selezione delle aziende il fondo ha deciso di escludere l'immobiliare e il settore finanziario. «In termini di taglia guardiamo a società dai 40-50 milioni di fatturato fino ai 250-300 milioni. Pigna, che è più piccola, è stata un'eccezione. Siamo intervenuti nel luglio 2017 perché era a forte rischio di continuità aziendale, non potevamo lasciare andare un marchio storico e i dipendenti.

Oggi il piano di rilancio è fortemente avviato grazie anche al recente ingresso nel capitale del gruppo Buffetti». Quanto ai prossimi target, il fondo sta lavorando ad altri quattro accordi di ristrutturazione ancora riservati che sono in fase di chiusura.

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