Il Dieselgate continua a far danni a Volkswagen

Pierluigi Bonora

«I test dell'industria automobilistica su cavie animali e umane vanno avanti da tanti anni. Il clamore che ne è derivato rappresenta, dunque, una non notizia, anche se ritengo che la questione debba essere presa più di petto dai diretti interessati, in particolare il Gruppo Volkswagen». Chi parla è Andrea Barchiesi, fondatore e ceo di Reputation Manager, società che si occupa dell'analisi della reputazione online di privati, marchi ma anche di personaggi di rilievo pubblico.

Secondo Barchiesi sono tre i modi per far fronte a situazioni come quella in cui sono cadute Vw, Daimler e Bmw: «Il silenzio - spiega - sperando che lo Tsunami passi in fretta (il metodo adottato da Bmw, ndr), anche se non è mai consigliato; scaricare il barile su capri espiatori (già tre le teste saltate, ndr); fronteggiare il caso e difendere le proprie scelte. Quello dei test su cavie dei gas di scarico è un caso diverso rispetto al Dieselgate dove, trattandosi di una truffa, non c'era nulla da difendere». Un discorso a parte riguarda Volkswagen, protagonista del Dieselgate che comunque non ha intaccato vendite, conti e piani miliardari per il futuro, anche se lo scandalo delle emissioni truccate è costato finora quasi 30 miliardi.

«Il gruppo - osserva Barchiesi - si è reso protagonista di un grande cambiamento, azzerando quasi le linee dirigenziali e pagando fior di miliardi. Una delle cose che sta passando nel mercato, però, è che Vw sia uscita indenne dallo choc reputazionale. Il conto complessivo, invece, è tutt'altro che chiuso. C'è stato un ottimo colpo di reni che sta apparentemente premiando Vw. Ma la reputazione è come un mutuo, si paga con il tempo.

E lo choc al quale stiamo assistendo è probabilmente frutto anche di quello precedente».

Per l'esperto, in pratica, la «non notizia» riportata dai media di tutto il mondo ha trovato terreno fertile proprio nell'incrinatura reputazione già aperta nell'industria tedesca.

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