Economia

Eni studia la carta Iran contro la crisi

Per gli analisti Descalzi guarda a Teheran per rimediare al mini-petrolio. Ma l'aumento Saipem è in salita

Nel lunedì più nero che Piazza Affari abbia avuto negli ultimi sei anni, con il petrolio Wti che ha sfondato al ribasso la soglia dei 40 dollari e il Brent quella dei 45 dollari, si preannuncia più che in salita l'autunno di Eni e Saipem.

Le due società dell'oil italiano - che da oltre un anno combattono contro gli inattesi cali dell'oro nero, causati da un eccesso di offerta legata allo shale gas e alle politiche dell'Opec - devono infatti far fronte a un nuovo e inatteso fattore «esterno»: la tempesta finanziaria cinese che sta trascinando a fondo i prezzi del greggio.

Una vera doccia fredda, visto che il numero uno del Cane a sei zampe Claudio Descalzi aveva previsto, all'assemblea di maggio, un petrolio «ancora basso» a 55-60 dollari nel 2015. Ieri pomeriggio il Wti passava invece di mano a 38,69 dollari e il Brent ha chiuso a 43,38. Una ventina di dollari meno delle attese. Così, dopo aver sfondato quota 16 euro il 5 agosto, in Piazza Affari ieri Eni ha perso il 7,9% a 13,1 euro e Saipem - da diversi mesi in caduta libera in Borsa - il 6,22% a 6,95 euro. Uno scenario che inevitabilmente condiziona i piani delle due società e in particolare quelli di Saipem che, secondo indiscrezioni non confermate, a settembre avrebbe dovuto lanciare un maxi-aumento di capitale.

A questo punto è «probabile - sottolinea un analista - che in un mercato così compromesso la ricapitalizzazione slitti di qualche mese. Ma non troppo. Sia Eni che Saipem devono, infatti, mettere a posto questo tassello e ridurre il debito di San Donato per poter sperare in un rilancio». In luglio Mediobanca Securities prevedeva un'intervento da almeno 3-3,5 miliardi. «Ma di questo passo - spiega una fonte del settore - la situazione potrebbe complicarsi e la posta in gioco salire ancora con un aumento monstre».

Nel frattempo, per attirare gli investitori, la società sta lavorando al piano strategico «Fit for the future» che verrà presentato insieme ai risultati del terzo trimestre 2015. Un piano complicato, perché legato a doppio filo con i corsi del petrolio, al momento assolutamente imprevediblili, e dati da alcuni addirittura a 30 dollari. A bocce ferme, a fine luglio, le prime decisioni dell'ad Stefano Cao riguardavano un corposo taglio dei costi da 1,3 miliardi tra il 2015 e il 2017; la ridistribuzione geografica in aree a maggior valore aggiunto come Canada e Brasile; dismissioni di 5 mezzi navali; 8.800 esuberi e un taglio dell'8% sugli investimenti a 600 milioni l'anno dai precedenti 650 milioni. «Numeri che potrebbero essere rivisti al ribasso in caso di un ulteriore crollo del greggio», precisa un analista che vede un unico faro all'orizzonte: il fattore Iran. «In questo momento mi sembra l'unico appeal ed è quindi importante che la società e il governo giochino tutte le carte a disposizione con Tehran».

Gli stessi risultati dell'Eni dipendono molto da quelli di Saipem, perché ne incorpora il suo debito. Inoltre, questi corsi del petrolio potrebbero impattare sui dividendi (già ridotti da 1,12 a 0,8 euro) e sul piano di efficentamento. Secondo gli esperti, infatti, a Eni occorrono presto nuove acquisizioni così da rafforzare il business dell'estrazione. Ma il mini-petrolio renderà più arduo fare cassa con le cessioni annunciate.

Il petrolio ha chiuso ieri a 43,38 dollari per il Brent e a 38,69 per il Wti contro i 55-60 previsti da Eni

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