Morgan Stanley ha deciso di rimborsare chi ha pagato le azioni di Facebook più di 43 dollari ad azione. La banca d’affari ha infatti spiegato ai broker che gli ordini di vendita sulle azioni, a un minimo di 43 dollari dopo l’Ipo del social network, non saranno realizzati, visti i bassi volumi a quella fascia di prezzo il 18 maggio (giorno dello sbarco al Nasdaq). Questo dovrebbe garantire anche il giovanissimo Sam Lesser, 11 anni, bambino prodigio dell’e-commerce che vendendo online skateboard e braccialetti ha messo insieme una piccola fortuna e ha investito 10mila dollari al momento dell’esordio in Borsa nel social network.
Ma ancora non sa se l’ordine è andato a buon fine perché le contrattazioni si sono bloccate a causa di un problema tecnico del Nasdaq, la Borsa dei titoli tecnologici che a sua volta ha chiesto scusa per l’imbarazzante inconveniente che potrebbe fargli perdere i clienti più importanti delle prossime Ipo e spingere Facebook a migrare sul Nyse. Ma le accuse maggiori sono per Morgan Stanley. La banca, che dall’Ipo del decennio si è messa in tasca 100 milioni di dollari, ha infatti stressato al rialzo il prezzo del collocamento, portandolo a pochi giorni dallo sbarco in Borsa da 32 a 38 dollari.
Troppo per una società che nel 2011 ha prodotto utili per 1 solo miliardo di dollari e che, come del resto si sapeva anche prima dell’Ipo, aveva dovuto rivedere al ribasso le stime per il 2012. E infatti ora il prezzo delle azioni è tornato, per così dire normale, intorno a 32 dollari, la parte bassa della forchetta iniziale.
E non è certo poco, perché anche così vale intorno a 87 miliardi di dollari, sei volte Telecom Italia che nel nostro Paese è, l’«autostrada» sulla quale transitano i dati e, dunque, anche il business di Facebook. Insomma, Morgan Stanley, che adesso cerca di correre ai ripari per non perdere la faccia o soprattutto le class action dei piccoli azionisti che si stanno affastellando nei suoi confronti, poteva certamente comportarsi meglio. Bastava essere un po’ meno avidi e guadagnare un po’ meno. La banca sostiene, a sua difesa, che c’erano molti azionisti pronti a pagare più di 38 dollari. Vero. Ma qualcuno è stato avvisato che non era il caso di rischiare, e sono quelli che hanno prontamente venduto appena il titolo è andato in contrattazione. I grandi investitori, dunque, hanno ricevuto un trattamento di favore rispetto ai piccoli azionisti. È il caso, a esempio, di Capital Research & Management, una società di investimenti di Los Angeles che voleva effettuare un grosso ordine di acquisto e che invece ha ridotto sensibilmente la propria esposizione, dopo essere stata informata durante il roadshow della revisione al ribasso delle stime: i profitti della società sono stati, infatti, tagliati da 51 a 48 centesimi per azione.
Alla fine gli investori retail ci hanno rimesso 630 milioni di dollari: il 25% dell’Ipo è stato riservato ai piccoli investitori che hanno acquistato i titoli a 38 dollari per azione mentre ieri sono scese sotto i 32 dollari. Ma anche ai trader non è andata meglio. Quattro tra i principali hanno perso circa 100 milioni. Però non hanno esitato ad avanzare richieste di risarcimento per 30-35 milioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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