C'è uno scoglio inaspettato sulla strada che dovrebbe portare le Ferrovie dello Stato nel capitale di Alitalia: i bond delle Ferrovie. Le emissioni sono attualmente nove, per un totale di 4 miliardi, per il 40% di fondi istituzionali italiani, per il 60% stranieri, che hanno prestato il proprio denaro a FS sulla base di progetti ferroviari e non aeronautici, industriali e non politici. Il punto è proprio questo: ogni notizia è «sensibile» e potrebbe ripercuotersi sul valore delle obbligazioni. Per questo c'è la massima attenzione a non preoccupare gli investitori. Non va poi dimenticato che il gruppo FS ha 11,5 miliardi di debito.
Ieri un tavolo tecnico ai massimi livelli - da una parte l'ad di FS Gianfranco Battisti, dall'altra i tre commissari Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stafano Paleari, alla presenza dei due advisor, Rothshild e Mediobanca - ha avviato un confronto in vista del 31 ottobre, termine per le offerte involanti. Per ora quella di FS è «non vincolante», ma dà il diritto di accedere alla data room. I temi sono molti, ora prevalentemente di natura tecnico-finanziaria, ma il nodo chiave non viene ancora affrontato: riguarda la futura fisionomia operativa della compagnia, che per essere realmente rilanciata ha bisogno, oltre che di denaro, di un progetto chiaro e credibile.
Finora la sinergia tra le due società di trasporto sembra essere la vendita coordinata dei biglietti treno-aereo: una pratica già in essere anche in Italia (FS-Emirates) e che non presuppone un ingresso nel capitale. Quest'ultimo, piuttosto, rischierebbe la mannaia Antitrust per la concentrazione sulla tratta Milano-Roma. Poiché sono controllate al 100% dal ministero dell'Economia, le FS hanno già scritto all'azionista chiedendo come agire: non risulta che finora sia giunta risposta.
Ieri il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli ha detto: «Chiuderemo entro la fine di ottobre e chiuderemo bene. I dipendenti devono stare tranquilli perché sarà un vettore nazionale che investirà molto e rilancerà il turismo».
I passaggi dovrebbero essere i seguenti: offerta vincolante delle FS, ipotizzata in 200 milioni, ingresso del Mef con la conversione di una parte del prestito ponte da 900 milioni; successivo ingresso minoritario di uno o più soci stranieri: come Delta, Easyjet o compagnie cinesi. Ma un piano industriale per il rilancio non c'è ancora e Alitalia oggi è troppo debole per competere con i grandi concorrenti. Quanto alla trasformazione del prestito ponte, si dovranno fare i conti con la Ue.
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