Fusioni grandi solo sulla carta Alle banche serve più efficienza

La stagione delle grandi fusioni bancarie non ha prodotto vantaggi. Ha dato lavoro ai notai per redarre complessi elaborati. Sulla carta dovevano essere operazioni destinate a modificare in profondità il sistema del credito: migliorare il servizio riducendo i costi. Ovvero: più efficienza e trasparenza. La contrazione delle filiali è stato un esercizio irrilevante. Quante volte ci capita di incrociare filiali dello stesso gruppo a poche centinaia di metri l'una dall'altra? Altro che razionalizzare. Le nostre filiali rimangono luoghi eccessivi, sovradimensionati. Troppa cornice, poca sostanza. Bastava spostarsi oltre 15 anni fa in Francia per constatare come una filiale possa vestire abiti normali, quasi banali e garantire allo sportello un buon servizio. Il nostro sistema bancario difetta di programmazione, malessere diffuso nel Belpaese. Venendo meno a quella virtù le cosiddette «grandi fusioni» sono nate monche. Terreno fertile per conquistare più di un titolo di giornale, per catturare l'attenzione di possibili investitori, per gettare fumo negli occhi a qualche socio. Auspico per il 2016 un ripensamento complessivo per uscire dallo stato di confusione. Non è possibile che in una grande banca sia pressoché assente la collaborazione fra gli uffici; come è intollerabile che ci vogliano due mesi per conoscere dove sia finita la pratica di un debitore alle prese con una ristrutturazione aziendale. I cassetti sono infiniti? Bene invece hanno fatto grandi banche come Intesa e Unicredit a diversificare l'offerta, vendendo immobili, anche perché non si può ridurre il personale e alcune filiali hanno grandi spazi a disposizione.

E poco importa se le tradizionali agenzie immobiliari non gradiscono che in una banca il cliente possa trovare un servizio completo per l'acquisto della casa. Liberalizzare è decisivo. Che per le banche però non deve mai significare l'abbandono della via maestra: fare la banca! www.pompeolocatelli.it

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