La riforma delle banche di credito cooperativo potrebbe rappresentare un passaggio cruciale per riaffermare lo scopo strategico di quel modello nel supporto fattivo all'economia reale, in specie alle piccole imprese. Con la mutazione genetica delle popolari in spa e i grandi gruppi bancari impegnati su orizzonti più vasti, la banca territoriale rimane il soggetto più accreditato per veicolare credito a piccole imprese e famiglie. Il premier Renzi spinge per una soluzione sul modello della francese Crédit Agricole. Una scelta che porterebbe a una perdita di autonomia; in Francia le singole banche locali non esistono più, divenute semplici filiali di casse regionali. In Italia conviene sì innovare e razionalizzare la rete delle Bcc. Anche riducendo il numero dei consiglieri che porterei massimo a tre membri. Ma, insieme, urge responsabilizzare in tutti i sensi i manager operativi. E pure il ministro Madia sembra muoversi sulla stessa strada quando annuncia l'amministratore unico nelle società a controllo pubblico. Dunque, efficienza, stabilità e trasparenza. Come insegna la storia di questi giorni non lo si fa mai abbastanza: è sempre pericoloso sottovalutare il rischio di cadute rovinose come nel caso di Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti, CariFerrara! E qualsiasi riorganizzazione non dovrebbe mai nascere a discapito dell'esperienza consolidata. Riforma non significa rivoluzione. Non c'è da tagliare di netto con esperienze che, in anni e anni, hanno saputo costruire valore.
Semmai occorre che la politica intervenga il meno possibile. Se l'autonomia è una virtù irrinunciabile è fondamentale che i partiti stiano il più possibile fuori dalla porta. Anzi, dallo sportello. www.pompeolocatelli.it- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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