Economia

I lapilli di Pompeo

Non mi sono mai sottratto a critiche severe verso il nostro sistema bancario. Con altrettanta franchezza giudico che senza finanza l'economia reale non si tiene in piedi. Per questo non mi unisco al coro stonato di questi giorni che sta sferrando un attacco agli istituti di credito. Certo, la situazione è complessa. L'Abi ha reso noto che le sofferenze a novembre sono tornate al di sopra dei 200 miliardi. La trattativa con l'Europa per dare il via alla formula della Bad bank sembra più un braccio di ferro, mentre il governo giura che gli italici istituti non patiscono fragilità. La cosa certa è la necessità di una seria riforma del settore. Imprese e famiglie non possono accontentarsi di quel che è stato finora: fusioni intermittenti e di scarsa efficacia; incertezze sulla trasformazione delle popolari in spa; nubi fosche intorno al riassetto delle banche di credito cooperativo. Può essere che solo le periodiche iniezioni di Mario Draghi portino sollievo? Il sistema bancario, se è solido nei fondamentali come dice, ha da dimostrarlo con scelte coraggiose. Prima di tutto nei confronti della clientela «reale». Penso alle imprese, specie le piccole. Non è possibile che le pratiche legate a ristrutturazioni aziendali vengano mal gestite al punto tale che diventi normalità non sapere su quale scrivania siano finite e chi ne sia il funzionario responsabile, che comunque, una volta individuato, procrastina all'infinito ogni decisione. Così si bloccano procedimenti e speranze. La gestione ordinaria diventa una kafkiana corsa ad ostacoli. Le banche riflettano su questo. Una riforma concreta deve collocare al primo posto il servizio effettivo e veloce alla clientela.

Altrimenti la fiducia, già ai minimi termini, va in fumo del tutto.

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