La quasi totalità delle sigle sindacali ha proclamato per il 4 novembre 2016 uno sciopero generale nazionale dei lavoratori di Poste italiane. Il gesto eclatante è contro il programma di privatizzazione dell'azienda che sta portando avanti il governo. Oggi lo Stato, attraverso il ministero dell'Economia e delle Finanze, è l'azionista di maggioranza con il 64,7%. Secondo i piani avrebbe già dovuto essere abbondantemente sotto la soglia del 50%. Tutto rinviato al nuovo anno. Lo sciopero è l'ennesimo tentativo della casta sindacale di opporsi in modo ideologico a un processo del tutto naturale. I sindacati lamentano una gestione dell'azienda legata esclusivamente a logiche di profitto. Essendo Poste italiane una spa quotata a piazza Affari trovo persino ovvio che il management si preoccupi di realizzare profitti. Semmai, quel che fa da tappo e provoca ancora disservizi, è lo Stato che si erge a imprenditore. I sindacati, statalisti fin nel midollo, hanno tutto l'interesse che si dilatino all'infinito i tempi della privatizzazione di Poste Italiane. Vorrebbero piani di rilancio e idee per migliorare i servizi. Giusto. Ma ciò può avvenire solo nella misura in cui la palla passi del tutto ai privati. Efficacia ed efficienza sono termini che non appartengono al sindacato che abbiamo imparato a conoscere. Come fanno a prendersela con una strategia aziendale che ha deciso di proporre alla clientela più prodotti entrando, di fatto, in concorrenza con le banche? Il servizio universale, garantito come funzione sociale, non viene meno quando un'azienda di Stato viene privatizzata. Anzi.
Si spreca meno, si tagliano i rami secchi, si migliora in tutto. Un sindacato moderno dovrebbe collaborare al definitivo salto di qualità. Mentre allo Stato rimane la funzione, assai importante, di controllo. Il Paese è stufo di privatizzazioni a metà.www.pompeolocatelli.it
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