La7, slitta a febbraio la vendita Cairo la vuole, ma con superdote

di Marcello Zacché

La cessione di La7 (o di tutta Ti Media, se oltre alla rete tivù si considerano anche le infrastrutture e le frequenze per la trasmissione dei canali digitali) è da tempo un tormentone. Nei giorni scorso circolavano addirittura due ipotesi, per ora rivelatesi infondate. La prima era il ritiro della cessione: offerte troppo basse. La seconda era la messa in liquidazione della società. Il cda di ieri ha smentito queste voci rinviando di 3 settimane - fino al cda del 7 febbraio - la decisione, per trattare ancora e meglio. Una delibera che però si presta a due letture: quella in positivo è che la cessione si farà, in barba alle voci contrarie; quella in negativo è che, di qui al 7 febbraio, in piena campagna elettorale, potranno accadere tali e tanti episodi da fornire chissà quanti spunti per rimandare ancora. A quel punto dopo le elezioni.
In realtà dietro all'esito di ieri c'è uno scontro forte tra alcuni grandi soci del gruppo di tlc da un lato e Franco Bernabé, presidente operativo di Telecom e gran tessitore di questa tela, dall'altro. Un confronto che nelle ultime settimane ha segnato qualche punto a favore dei soci, che vorrebbero vedere la loro Telecom senza La7 il più presto possibile, rispetto a Bernabé, accusato più o meno velatamente di lavorare per lo status quo, non volendo rinunciare a una leva politica ed economica così potente come quella di una tivù armata di Mentana, Santoro, Gruber e Lerner per dire solo di alcuni conduttori di maggior peso.
Bernabé rifiuta seccamente questa lettura e ai suoi ripete di non aver mai fatto «alcun uso politico de la7»; e nelle vicende della cessione di essere concentrato esclusivamente a fare un buon affare nell'interesse dell'azienda. Ma c'è chi, a torto o a ragione, non gli crede fino in fondo. E protesta perché quei 100 milioni di perdite imputabili alla macchina di La7 non vanno proprio giù ai grandi soci. A gente che sta in Mediobanca, Intesa e Generali, non garba più di finanziare, a costi crescenti, un'emittente così politica senza per più averne mai concordato il ruolo, la linea, la funzione. E questo indipendentemente dal fatto che 100 milioni non sono nulla di fronte a un gruppo che fattura 30 miliardi e ne ha pochi meno di debito. E in ogni caso, in prospettiva futura, La7 meglio perderla che trovarla: gli scenari post elettorali disegnano un quadro politico meno conflittuale, nel quale Mediaset tornerà a posto (il boom di Borsa di queste settimane è lì a dimostrarlo) e pure la Rai finirà sulla buona strada. Non a caso sembra che nell'offerta di Clessidra si parli di una La7 in perdita a due cifre milionarie almeno fino al 2015.
Per questo non esistono, a sentire i piani alti, offerte inadeguate: qualunque cifra, anche piccola, anche negativa avrebbe il vantaggio di eliminare un problema per sempre.

In questo senso va bene anche la liquidazione: l'unico parametro da prendere in considerazione, il punto d'indifferenza, sarebbe il costo della stessa, da confrontare con la migliore offerta. Chi fa perdere meno soldi vince.
@emmezak

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica