C'è qualcosa di nuovo nel mercato del lavoro Usa. Forse è solo un baluginio, ma già piace tanto ai mercati. Nel giorno in cui il Bureau of Labour Statistics certifica che in dicembre sono stati creati 223mila nuovi posti e che il tasso di disoccupazione è sceso al 3,5% dal 3,7% di novembre, ecco recapitato a Wall Street un regalo di Natale a scoppio ritardato. Un cadeau sotto forma di una modesta crescita delle retribuzioni, salite solo dello +0,3% mensile. Grazie anche alla revisione al ribasso del dato di novembre (da +0,6% a +0,4), l'aumento su base annua cala al 4,6%. È l'incremento più fiacco dall'agosto 2021.
L'America appare quindi su un versante invidiabile: da un lato, la solidità delle assunzioni stempera i timori recessivi e consente al presidente Joe Biden di affermare che i dati sull'occupazione sono «un'ottima notizia» e «un'ulteriore prova del fatto che il mio piano economico sta funzionando»; dall'altro, si annullano le preoccupazioni legate a una spirale prezzi-salari. I sette rialzi dei tassi, decisi dalla Fed quando ha dichiarato guerra all'inflazione, potrebbero quindi aver raggiunto un primo, fondamentale obiettivo. E un falco come Raphael Bostic, Fed di Atlanta, ha aperto a una stretta di 25 punti base alla prossima riunione. L'inatteso raffreddamento delle buste paghe ha innescato ieri a Wall Street un mini-rally (+1,9% a un'ora dalla chiusura; bene Milano, a +1,4%). La convinzione è che ora Jerome Powell non avrà bisogno di forzare la mano, anche se i verbali della riunione di dicembre raccontano il contrario. Bloomberg Economics si aspetta altri due giri di vite dello 0,25% che porteranno i tassi in marzo al 5%. Quello sarà il punto oltre il quale la Fed smetterà di irrigidire la politica monetaria.
Sulla stessa linea High Frequency Economics che stima per febbraio un rialzo di un quarto di punto. Resta da capire se la Fed chiuderà un occhio sulla tenuta dell'occupazione, visto Powell vuole ridurre a non più di 100mila al mese i nuovi posti di lavoro creati dalla Corporate America.
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