«Alla manutenzione, l'Italia preferisce l'inaugurazione», diceva Leo Longanesi nell'agosto del 1955. La citazione calza ancora a pennello per la situazione italiana, secondo il capo economista di Intesa Sanpaolo, Gregorio De Felice, che l'ha evocata ieri presentando l'ultimo rapporto sui settori industriali realizzato in collaborazione con Prometeia. Una fotografia dei principali ingranaggi del motore economico del Paese che, sia dai dati relativi al 2018 sia dalle stime per i prossimi due anni, sono ancora bene oliati. Anzi, l'industria italiana si mostra, nel complesso, più capitalizzata e solvibile rispetto al passato. Molte aziende sono tornate a investire, l'export continua a tirare e la buona competitività sui mercati internazionali si confermerà nei prossimi anni con un incremento del saldo commerciale, atteso sfiorare i 98 miliardi nel 2020, al netto delle materie prime e dei prodotti petroliferi. Ma questa «resilienza» sviluppata con la crisi rischia di essere messa a dura prova da «una manovra che recupera il peggio dell'assistenzialismo e dello statalismo nell'economia», come l'ha definita il presidente di Assolombarda, Carlo Bonomi la settimana scorsa.
Anche perché, spiega il rapporto di Intesa e Prometeia, il manifatturiero italiano chiuderà il 2018 con un fatturato in crescita dell'1,7%, a prezzi costanti, in rallentamento rispetto al +2,8% del 2017, scontando la maggiore incertezza sul piano internazionale e interno. Questo continuerà a condizionare la crescita anche nel prossimo biennio, stimata a +1,6% medio annuo nel 2019-2020. Le esportazioni restano, comunque, il punto di forza dell'Italia, che nella prima parte del 2018 mantiene ritmi di sviluppo (+3,4% a valori correnti) superiori ai principali concorrenti europei, ma anche rispetto al commercio mondiale (-0,4%). Nel prossimo biennio la meccanica continuerà a trainare gli altri settori, ma ci sarà anche una ripresa di autoveicoli e motocicli dopo la battuta d'arresto di quest'anno.
«Alcune imprese hanno chiuso, ma quelle che sono rimaste sono più resilienti perché nel complesso hanno basi più solide», ha sottolineato ieri De Felice. Il picco della crescita del manifatturiero è alle spalle, ma i margini e la redditività delle imprese tornano ai livelli pre crisi. Il rapporto prevede anche una moderata accelerazione della spesa per consumi nel 2019-20, su tassi prossimi all'1% annuo.
E «se c'è un allargamento dello spread persistente, il rischio è che si rifletta pian piano nel costo del credito, dei mutui, delle famiglie e delle imprese» con «riflessi negativi non soltanto sulla finanza pubblica, di cui tutti noi poi paghiamo il costo, ma anche sull'economia reale, sul costo del credito, sulla capacità delle banche di fare credito», ha evidenziato il capo economista di Intesa. Invitando l'Italia a «puntare molto sugli investimenti», sia pubblici sia privati, che invece «in dieci anni sono diminuiti di oltre 80 miliardi mentre in altri Paesi sono aumentati».
Servono credibilità, certezza delle regole e di fiducia.
E sul fronte degli investimenti pubblici, serve più spazio di manovra superando «procedure farraginose», riducendo le difficoltà nella valutazione delle opere, e aumentando la percentuale di utilizzo dei fondi europei che «è ancora bassa», ha concluso De Felice. Per poi citare, appunto, Longanesi sulla smania degli italiani per le inaugurazioni più che per le manutenzioni.
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