Economia

L'Italia è in vendita: così vengono "regalati" i nostri gioielli

I pm feriscono Finmeccanica, il lusso finisce all'estero, il made in Italy viene svenduto: a chi giova un'Italia debole? Guarda l'infografica

L'Italia è in vendita: così vengono "regalati" i nostri gioielli

Italia in vendita. O meglio: le punte di diamante della nostra economia sono svendute sul mercato internazionale. È tempo di saldi: complice la crisi economica, i colossi mondiali - famelici di fare affaroni nel Belpaese - azzannano i nostri goielli e se li portano a casa a prezzi scontatissimi. Non c'è campo che ne sia immune. La lista si fa sempre più lunga (guarda l'infografica). Negli ultimi anni l'assalto non arriva più dalle sole multinazionali occidentali che strappano assegni a svariati zeri, a richiedere i marchi del made in Italy sono anche Paesi emergenti, come il Brasile, la Cina e l'India, Russia, e soprattutto la penisola araba.

"Air France Klm non ha intenzione di prendere il controllo di Alitalia: lo abbiamo già detto a più riprese, viste le nostre priorità e i nostri mezzi, che sono limitati", ha assicurato nelle ultime ore il direttore finanziario del vettore franco-olandese Philippe Calavia a margine della presentazione dei conti del gruppo. Da settimane i media vociferano di una possibile svendita della compagnia di bandiera. Non è certo l'unico gioiello al centro degli interessi dei colossi internazionali. Il colpo inflitto dalla magistratura a Finmeccanica ha fatto saltare sull'attenti il presidente francese Francois Hollande che è volato subito dal premier indiano Manmohan Singh per firmare accordi commerciali da svariati miliardi. A chi giova un'Italia debole? Chi beneficia di una Saipem il cui margine operativo lordo nel 2012 si aggira intorno ai 1,5 miliardi di euro (circa il 6% in meno rispetto a quanto precedentemente annunciato)? Perché i nostri imprenditori non riescono a investire più in questi marchi? A far aprire gli occhi agli analisti era stato il "colpaccio" del marchio Luis Vuitton Moet Hennessy (Lvmh) che, comprando Bulgari nel 2011, aveva rivoluzionato il mondo del lusso. In realtà, è ormai un ventennio che, tra grandi affari e colossali svendita, l'Italia perde un pezzetto dopo l'altro. Si è iniziato con l'Iri e le svendite di Romano Prodi e da lì non ci si è più fermati.

Per ogni azienda italiana che si espande all’estero, ve ne sono tante altre che mettono le mani sui marchi made in Italy. Se Barilla compra la francese Harry’s o la svedese Wasa o se Luxottica di Leonardo Del Vecchio compra l’americana Ray Ban, un numero sempre maggiore di etichette italiane finiscono fuori dal Belpaese. "In alcuni casi è giusto vendere, poiché il prezzo offerto è fuori da qualsiasi logica economico-finanziaria - spiega l'analista Ulisse Severino - in altri casi si assiste al pagamento di quelli chiamerei veri e propri prezzi di liquidazione". Qualche esempio? È presto fatto. Bernard Arnault, proprietario della Lvmh, non è solo il padrone incontrastato di Bulgari. Lvmh possiede, infatti, anche Emilio Pucci, Acqua di Parma e Fendi. Gucci invece è sotto il controllo di Ppr, antagonista storico di Lvmh. François Henri Pinault, poi, controlla Bottega Veneta, Sergio Rossi e come prossimo obiettivo addirittura Edison, colosso energetico italiano. E ancora: Gianfranco Ferrè è stata ceduta a Paris Group di Dubai, holding che fa capo al magnate Abdulkader Sankari e che controlla 250 boutique tra Emirati arabi, Kuwait e Arabia Saudita. Stesso destino per la Safilo, che oggi confeziona occhiali per Emporio Armani, Valentino, Yves Saint Lauren, Hugo Boss, Dior e Marc Jacobs: è finita nelle mani del gruppo olandese Hal Holding.

Se il settore del lusso è preso d'assalto, il mercato degli alimentari viene continuamente saccheggiato. Anche qui, solo per fare alcuni esempio, abbiamo Carrefour e Auchan a farla da padroni nel campo del retail. La francese Lactalis ha messo le mani su Parmalat, Galbani, Invernizzi, Cademartori e Locatelli. Nelle mani del fondo di private equity Pai Partners è finita la catena Coin nata nel lontano 1916 quando il veneziano Vittorio Coin ottiene la licenza di ambulante per la vendita di tessuti e mercerie a Paniga. Stesso destino per la Standa, fondata nel 1931 da Franco Monzino con un capitale di 50mila lire. Agli spagnoli invece la Star, la società italiana leader nei dadi da brodo, controllata dal marchio iberico Agrolimen. Tra i maggiori compratori in Italia c'è la Société des Produits Nestlé, sicuramente la più grande azienda mondiale nel settore degli alimentari. A decine i marchi che la società ha comprato in Italia: si va dalla Buitoni alla Motta, dai Baci Perugina all'Antica Gelateria del Corso.

"È davvero difficile trovare oggi chi investe in un Paese come l'Italia - ha concluso Severino - frenato non solo da una crisi sempre più evidente, ma anche dall'assenza di una visione che vada oltre la logica delle prossime elezioni".

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