Dopo il giovedì di passione provocato dalle insoddisfacenti misure adottate dalla Bce, i mercati hanno ieri ripreso fiato. Merito anche dei 211mila nuovi posti di lavoro creati negli Stati Uniti, un dato superiore alle attese (200mila) che rafforza le possibilità di una stretta ai tassi Usa in occasione della riunione del prossimo 16 dicembre. Il cambio di rotta da parte della Federal Reserve dovrebbe avere effetti benefici sull'euro, fortemente penalizzato dopo il risicato allargamento del perimetro del quantitative easing deciso da Mario Draghi. Ma nella sua lotta contro la minaccia di deflazione il numero uno dell'Eurotower rischia di dover fare i conti anche con l'Opec. La riunione tenuta ieri a Vienna dall'organizzazione che raggruppa i principali Paesi esportatori di petrolio si è conclusa con una fumata nera: nessun taglio alla produzione, output mantenuto a 30 milioni di barili al giorno per l'ennesima volta, nonostante i prezzi del greggio siano crollati dai 110 dollari del giugno 2014 fin sotto i 40 di ieri a New York. I falchi del Cartello non hanno al momento la forza di spingere verso una riduzione dell'output l'Arabia Saudita e i suoi alleati del Golfo, decisi a non perdere quote di mercato e a contrastare concorrenti quali la Russia e i produttori di shale oil statunitensi, che sopportano costi produttivi maggiori. La quota produttiva ufficiale è da tempo una sorta di barzelletta: il Cartello sfora sistematicamente tale soglia, saturando mercati con sempre minori esigenze energetiche alla luce della frenata della Cina e delle economie emergenti. Si stima che, attualmente, l'Opec produca circa 32 milioni di barili al giorno. Ai quali si dovrà aggiungere il milione dell'Indonesia, riammessa proprio ieri nel «club» da cui era uscita nel 2009, e il mezzo milione dell'Iran, liberato dall'embargo. Un fiume di (ex) oro nero destinato verosimilmente a comprimere ancor di più le quotazioni. Con il rischio, quindi, di importare ulteriore deflazione nell'eurozona, dal momento che un calo del petrolio del 10% pesa sulla dinamica annua dei prezzi al consumo tra lo 0,2% e lo 0,3%. Un rischio che, però, «è sparito dall'orizzonte - ha detto ieri sera Draghi nel suo intervento all'Economic Club of New York - .Posso dire con fiducia che l'inflazione tornerà al 2% senza ritardi non necessari, perchè stiamo usando strumenti che riteniamo che ci consentiranno di raggiungere questo e perchè, in ogni caso, possiamo usare ulteriori strumenti se sarà necessario».
Un impiego di misure che è «senza limiti», ha precisato il presidente della Bce, con tono di replica alle critiche mosse dalla Bundesbank. Quanto alla reazione delle Borse, Draghi ha chiarito che quanto deciso l'altroieri «non era pensato per rispondere alle aspettative del mercato. Non una rivoluzione, ma abbiamo ricalibrato» la politica monetaria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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