Tre date in meno di tre mesi: domani sarà il 25° anniversario del Trattato di Maastricht, il documento che ha fissato le regole europee su deficit e debito applicate poi a chi avrebbe adottato l'euro; di quest'ultimo abbiamo appena celebrato, il primo gennaio, i primi quindici anni di vita; mentre tra poco più di un mese, il 25 marzo, sarà la stessa Unione europea a festeggiare un compleanno rotondo: il sessantesimo.
Ed è in vista dei festeggiamenti romani (il Trattato costitutivo fu firmato in Campidoglio) che Angela Merkel, l'altro ieri, ha buttato là che per un'Europa unica non ci sono più le condizioni. Così da suggerire che sarà proprio a Roma, sessant'anni dopo, l'occasione per mandare in pensione l'Ue così come la conosciamo per passare a un'"Europa a due velocità".
Quello che sbalordisce, oltre alla coincidenza dei tre anniversari, è l'accelerazione con cui in poco tempo si è arrivati a questo punto. Con noi italiani - che siamo i fondatori dell'Europa assieme a Francia, Germania ovest e Benelux - a fare da spettatori. Il fatto è che l'Europa, così come l'euro, non può essere come un'auto Uber, da chiamare secondo l'esigenza del Paese più grande e più centrale del vecchio continente.
Quando Merkel parla di Europa a due velocità lo fa prima di tutto per questioni elettorali, pressata sia dalla destra radicale, sia dalla sinistra di Martin Schulz. E intende una cosa precisa: mollare i Paesi del sud perché un'Europa a 28 Stati non è più interesse della Grande Germania. E nemmeno l'euro: questo marco travestito da valuta comune, una volta che le politiche monetarie della Bce utili alla maggior parte dei cittadini dell'area euro non lo sono per i tedeschi, non serve più. Tanto che di altri strumenti finanziari comunitari, quali gli eurobond o la bad bank, Berlino non ha mai voluto sentire parlare.
Crediamo allora che Europa ed euro a due velocità - come quello che ci ha descritto ieri Francesco Forte nel suo articolo - non debbano essere spunti per un neo risorgimento «sovranista»; ma una chance per fare un grosso rilancio sul piatto comunitario. Rinunciare al sogno di un continente forte, unito e senza frontiere perché non conviene più a Merkel ci pare una follia.
Certo, noi ci abbiamo messo del nostro, buttando al vento l'occasione di aumentare la produttività e abbassare il debito quando, quindici anni fa, siamo passati dai tassi della lira e quelli del marco da un giorno all'altro.
Bene: facciamo autocritica, ma ritroviamo a Roma la forza dei padri fondatori per rinegoziare una Nuova Europa. Magari meglio di quanto non avessimo negoziato 25 e 15 anni fa. Così da avere un'altra data da celebrare per il futuro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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