Economia

Modello Bad Bank per salvare Sorgenia

L'ipotesi di una "società di servizio" che possa chiedere sovvenzioni pubbliche

Modello Bad Bank per salvare Sorgenia

Una Bad Bank dell'energia, con 12.500 MegaWatt di centrali elettriche a gas, per poi chiedere allo Stato 250 milioni di sovvenzioni e togliere una fetta di capacità produttiva dal mercato. Potrebbe essere questa la prima «soluzione di sistema» del futuro esecutivo Renzi se si concretizzasse un progetto che sta muovendo i primi passi nei colloqui riservati tra la politica, i grandi manager dell'energia e le banche. Su un asse che va da Giuliano Pisapia a Giovanni Bazoli, passando dalla Cir dei De Benedetti.
Lo spunto è quello di mettere in sicurezza una fetta di sistema industriale in difficoltà, quello delle centrali elettriche a ciclo combinato, cioè a gas. Penalizzate due volte dalla crisi perché pagano doppio il prezzo del crollo della domanda: da un lato hanno i costi elevati del prezzo del gas, dall'altro la loro operatività è ridotta all'osso a causa della priorità del dispacciamento assicurata alle centrali da fonti rinnovabili. Il risultato è che tutti gli investimenti effettuati fino a 4-5 anni fa per costruire moderne centrali oggi sono al massimo del costo con il minimo del mercato. L'incubo di ogni manager. Tra queste ci sono quelle di Sorgenia, gruppo Cir-De Benedetti, alle prese con un debito consolidato di 1,8 miliardi diventato ingestibile. Con le grandi banche del Paese (Mps davanti a Intesa, Unicredit e Mediobanca) assai preoccupate. E per questo molto attive nel pensare a possibili soluzioni.

Il progetto prevede la creazione di una sorta di «Bad Company» elettrica partendo da Edipower, società controllata da A2A, ma partecipata al 12% dalle banche, e dalle centrali a gas direttamente di A2A. Alla società controllata dai sindaci di Milano e Brescia, entrambi di area Pd, fanno capo circa 6mila MW di capacità termoelettrica. Nonostante i buoni numeri del gruppo, il «termo» costa ed è una spina nel fianco per i motivi di cui sopra. Per questo ci sarebbero stati contatti riservati tra il management di A2A, guidato dall'ad Renato Ravanelli, sia con E.ON, sia con Sorgenia, sia con le banche per sondare la fattibilità di un progetto a due o a tre. I tedeschi di E.ON (3.300 MWatt termo) hanno annunciato di voler lasciare l'Italia; i problemi di Sorgenia (3.200 MW) sono quelli noti. Le banche, a partire da Intesa Sanpaolo presieduta da Bazoli, seguirebbero il progetto con interesse, pronte a lavorarci su.

L'idea è quella di fare massa critica per creare un gruppo che offra al sistema nazionale una capacità di «riserva»: quando le rinnovabili non bastano, entra in funzione la Bad Company. Che così, visto il ruolo di «servizio» al Paese, può chiedere allo Stato il capacity payment, vale a dire quella sovvenzione a fronte della disponibilità di capacità. Il valore? È stimato tra 10 e 20mila euro al MW. Dunque un impegno pubblico da 200-250mila euro. Che però andrebbe esteso anche al rimanente termoelettrico italiano (Enel, Edison, Iren, Gdf, per almeno altri 25mila MW) per un totale di 7-800 milioni. Le sovvenzioni permetterebbero alle centrali di colmare il gap oggi esistente tra il rendimento (oggi al 4-5%) e il costo del capitale (7-8%). Così le banche potrebbero gestire meglio il rientro dei crediti. Il progetto sarebbe per ora solo sulla carta. Tanto che sia A2A, sia Intesa, contattate in proposito, negano l'esistenza di trattative o di dossier sul tavolo.

Il problema da risolvere è quello dei soci. L'idea è coinvolgere, al fianco di Comuni e privati, proprio le banche, attraverso la trasformazione in equity di parte dei crediti in essere con il sistema. E in seconda battuta il fondo strategico della Cdp. Quest'ultima, avendo il controllo della distribuzione tramite Terna, non può avere quote in società di produzione.

Ma lo schema del capacity payment renderebbe questa «genco di servizio» una società «regolata», togliendo dal mercato libero le centrali ed eliminando il conflitto tra generazione e distribuzione.

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