Economia

"Monumento alla cleptocrazia": gli affari d'oro degli oligarchi con i gasdotti

Secondo diverse fonti, diversi oligarchi si sarebbero arricchiti grazie a un sistema clepotcratico incentivato dalla Russia e veicolato con i grandi programmi infrastrutturali in campo energetico

"Un monumento alla cleptocrazia": gli affari d'oro degli oligarchi coi gasdotti

Il businessman corsaro che ha iniziato la sua carriera all'epoca della tarda Unione Sovietica e la coppia di fratelli che ha iniziato la sua amicizia con Putin nelle palestre di judo: sono tre le persone chiave che hanno conquistato immense fortune dagli appalti e dalle commesse per il gasdotto Nord Stream 2. Pensato da Vladimir Putin e Angela Merkel per rafforzare l'asse energetico Germania-Russia e tagliare fuori l'instabile Ucraina dalle spedizioni di gas verso l'Europa e fare di Berlino l'hub dell'oro blu nell'Europa odierna, il gasdotto della discordia è completo ma potrebbe non entrare mai in funzione. Olaf Scholz ha recentemente sospeso la certificazione nel quadro delle sanzioni seguite alla guerra in Ucraina.

Ma dal lato di Mosca c'è chi ha già avuto modo di festeggiare, dato che Putin ha permesso con la costruzione di Nord Stream 2 di finanziare appalti e progetti da cui molti suoi sodali si sono arricchiti profumatamente. Non tutti gli oligarchi sono i personaggi glamour alla Roman Abramovich: nella rosa dei businessman vicini al Cremlino si trovano anche Gennady Timchenko, che negli Anni Ottanta è diventato uno dei ras delle raffinerie controllandone diverse vicino a San Pietroburgo, base di Putin. Ma anche i fratelli Arkady e Boris Rotenberg, proprietari della Banca Smp. Arkady, classe 1951 e di un anno più anziano di Putin, era il suo sparring partner a Judo e dal 1998 proprietario, assieme a Timchenko, del club sportivo di judo Yawara Neva, avente come presidente onorario lo Zar del Cremlino. Arkady e Boris Rotenberg controllano le compagnie Stroytransgaz e Stroygasmontazh, che hanno ottenuto contratti favorevoli dal governo russo per Gazprom.

Il portale di riferimento per le questioni energetiche nell'Est Europa, Energetyka24, sottolinea che le opere infrastrutturali di Mosca per l'export di gas non hanno solo avuto una valenza strategica per la Russia ma hanno anche costituito "il più grande monumento alla cleptocrazia russa". Non siamo più ai livelli di Berezovskij, Kodorkovskij e Abramovich, acquirenti a prezzo stracciato di asset pubblici in vendita: siamo al matrimonio tra Stato e oligarchi oliato dagli extra-costi di alcuni impianti. Energetyka24 fa il caso di TurkStream, il gasdotto da 10 miliardi di dollari i cui costi potrebbero essere lievitati di 5 miliardi, e ancora nel 2018 SberBank, un istituto finanziario sistemico in Russia, sottolineava che Mosca sarebbe rientrata dei costi del Nord Stream 2 entro vent'anni in caso di entrata a regime del gasdotto nel 2020 con il 60% di portata. Sono passati oltre dodici mesi e di operatività immediata ancora non si parla, quindi c'è da pensare che i 12 miliardi di dollari di costi stimati possano essere lievitati ulteriormente.

Anders Aslund, presidente del Consiglio Atlantico, ha stimato, nota Italia Oggi, che "dal 2011 al 2019 le spese in conto capitale di Gazprom erano state pari a 295 miliardi di dollari, con una media di 33 miliardi l'anno" e che oligarchi come i Rotenberg possono essersi intascati almeno un terzo di questi profitti. Timchenko si è potuto arricchire grazie alle sue partecipazioni in diverse compagnie (Gunvor, Transoil, Novateg e la stessa Stroytransgaz) che hanno avuto profitti dagli impianti. Ombre sono gettate anche sul progetto Power of Siberia, dal costo di 60 miliardi di dollari, per esportare gas russo in Cina, che secondo molti studiosi avrebbe avuto un'alternativa più economica e gestibile, non meno di successo operativo, nel gasdotto degli Altai che sarebbe costato solo 10 miliardi. La differenza tra i due progetti sarebbe tutto garantito ai profitti miliardari degli oligarchi.

E Putin in persona nasconderebbe tesori immensi in Russia e all'estero. Per Aslund "il patrimonio netto di Putin sarebbe compreso tra 100 e 160 miliardi di dollari, somma che farebbe dell'autocrate russo il terzo uomo più ricco del pianeta, dopo Jeff Bezos ed Elon Musk" e la sua costruzione di una villa faraonica da 1,37 miliardi di euro sul Mar Nero, progettata dal bresciano Leonardo Cirillo, lo testimonierebbe. Il Riformista aggiunge ulteriori dati sottolineando che "Bill Browder, finanziere americano esperto delle leggi Magnitsky che consentono ai governi di imporre sanzioni mirate ai trasgressori dei diritti umani congelando i loro beni" ha stimato come nel 2017 "Putin era stato in grado di accumulare un patrimonio personale di circa 200 miliardi di dollari, tale da renderlo all’epoca la persona più ricca sul pianeta" proponendo accordi di vero e proprio esproprio dei patrimoni degli oligarchi nemici, come Kodorkovskij, a cui si aggiungerebbero introiti sotto forma di tangenti per i favori agli oligarchi amici poi messi sotto il suo controllo indiretto attraverso giochi di specchi, società veicolo, hub in paradisi fiscali.

Non ha dunque senso paragonare gli oligarchi di Mosca ai maggiori imprenditori nostrani. Essi assommano fortune alla maniera dei robber barons americani dell'Ottocento, utilizzando rendite oligopolistiche e meccanismi di porte girevoli con il potere cementati grazie a antichi rapporti di amicizia.

E le rotte del gas sono una delle tracce su cui si muove un sistema cleptocratico che, secondo molti analisti, sarebbe la base dell'impero dello Zar e avrebbe pochi paragoni nella storia contemporanea.

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