Sofia FraschiniSaipem crolla in Borsa a due giorni dal termine ultimo per negoziare i diritti dell'aumento di capitale da 3,5 miliardi. Ieri le azioni hanno chiuso la seduta con un ribasso del 2,7% a 0,53 euro e peggio hanno fatto i diritti che hanno lasciato sul terreno la metà del valore (-49,4% a 1,10 euro).I conti finali e definitivi potranno farsi solo venerdì ma gli analisti guardano ormai con grande scetticismo a un'operazione che è stata fatta «nel momento sbagliato», che non cambierà nella sostanza e nel medio termine le prospettive del titolo Saipem e che anzi si prospetta essere decisamente onerosa per la Cdp (quindi per le casse pubbliche) nonché per le banche del consorzio di garanzia che probabilmente dovranno coprire gran parte delle mancate sottoscrizioni. Al 2 febbraio, secondo i dati Consob, le posizioni short sul titolo ammontano a circa l'8% del capitale di Saipem. «Assumendo - spiega un analista - che chi ha posizioni corte sul titolo aderisce all'aumento per coprirsi, e ricordando che gli azionisti Eni e Cdp insieme garantiscono il 43,5% dell'aumento, e che solitamente qualche banca di sistema interviene sul 5-10% del capitale, possiamo ipotizzare che il 55% dell'aumento sarà coperto. A conti fatti, resterebbe fuori un 45% circa che corrisponde a 1,5 miliardi». Una cifra rilevante se si considera che nel consorzio di banche (Goldman Sachs, Jp Morgan, Imi, Citigroup, Deutsche Bank, Mediobanca, UniCredit, Hsbc, Bnp Paribas, Abn Amro e Dnb Markets), ci sono diversi degli stessi istituti che hanno definito linee di credito con Saipem per 4,7 miliardi. Le banche estere, dunque, giocano la parte del leone nel riassetto societario voluto dal governo Renzi per liberare Eni dai debiti in capo alla controllante e svincolarla di fatto da un gruppo che con il crollo del prezzo del petrolio ha perso opportunità e appeal. Ma a quale prezzo?Sicuramente un conto salato lo sta pagando la nuova Cdp di Claudio Costamagna. Per rilevare il 12,5% di Saipem da Eni ha speso 463 milioni, ma quella stessa quota valeva ieri 90 milioni, con una perdita che, a ieri, ammontava a ben 373 milioni. Considerando che per partecipare all'aumento deve investire circa 437 milioni, l'assegno finale (a intestazione pubblica) per liberare Eni dai debiti e favorire il riassetto della galassia ammonta a circa 900 milioni, un terzo dei quali è già bruciato.Aspettando domani il verdetto finale, ieri il titolo, ma soprattutto i diritti, hanno vissuto un'altra giornata di forti perdite. «Ritengo che il rialzo del petrolio fino a 35 dollari sul Brent andato in scena qualche giorno fa abbia creato la falsa illusione di un recupero, dopo le vendite iniziali su titoli e diritti il rimbalzo è stato infatti violento, tanto quanto però la successiva discesa di ieri», spiega il consulente indipendente Luca Barillaro. Ieri, dopo una caduta iniziale il Wti è tornato sopra 31 dollari, ma una ripresa strutturale è considerata ancora lontana dagli analisti. Barillaro ricorda dunque che «per chi ha i titoli e non vuole ulteriori esborsi conviene vendere ed esercitare il diritto per pari quantità. Nel complesso, resta infatti un aumento a cui partecipare in ottica speculativa, il settore è troppo volatile per considerarlo un investimento sicuro».
E i numeri parlano da soli: è teoricamente sfumato in aumento il 23% del suo valore, circa 800 milioni. E dall'ultimo giorno prima della ricapitalizzazione - quando titolo e diritto sommati viaggiavano a quota 4,2 euro - il dato è precipitato a 1,6 euro: si è volatilizzato il 60% della capitalizzazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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