di Iuri Maria Prado
Sequestro dei beni aziendali. Blocco dei conti correnti dell'impresa. Divieto di commercio in tutta l'Unione europea. Queste sono solo alcune delle misure di «giustizia» che potranno colpire gli imprenditori italiani, accusati della violazione di un brevetto europeo con cosiddetto «effetto unitario»: il nuovo titolo di esclusiva monopolistica che un recente regolamento europeo si propone di imporre agli Stati membri e dunque anche all'Italia. Che è la seconda economia manifatturiera del continente e per ciò molto esposta alle aggressioni giudiziarie fondate su imputazioni di contraffazione.
Il peggio arriva quando si capisce a quali autorità è attribuito il potere di emettere i provvedimenti. Saranno tribunali con sede in Francia, nel Regno Unito e in Germania: i tre Stati che, con la complicità del potere esecutivo europeo, hanno istituito in casa propria organi giurisdizionali che processeranno e condanneranno le imprese dei Paesi periferici come il nostro. Lo faranno chiamando in giudizio lassù le nostre imprese, obbligate a difendersi in campo altrui, in una lingua straniera e davanti a giudici culturalmente orientati a considerarci un popolo di furbi copiatori, i «vu cumpra'» d'Europa che spacciano roba falsa ai danni delle ordinate economie britanniche e franco-tedesche.
Non importa che la realtà sia diversissima e che la nostra impresa sia molto spesso competitiva e tecnologicamente all'avanguardia. Anzi. Proprio per questo la si vuole sottoposta al comando giurisdizionale altrui: per massacrarla.
È bene capire ciò che succederebbe se l'Italia ratificasse queste norme: un imprenditore di Brescia, di Asti, di Agrigento, per sue attività produttive e commerciali generate in Italia, si vedrebbe notificato in tedesco o in inglese un ordine di sequestro dei beni e dei conti correnti e il divieto di fare commercio in una trentina di Paesi, e per reclamare giustizia dovrebbe impegnarsi in un infernale viaggio giudiziario. Farebbe prima a chiudere bottega. Tedeschi, inglesi e francesi hanno costruito a proprio vantaggio una struttura permanente di incriminazione delle imprese degli altri Paesi, innanzitutto quelle italiane, perché siamo la seconda potenza manifatturiera d'Europa, dunque la realtà competitiva più temibile. Mai s'era visto nella storia della Ue che agli Stati nazionali fosse imposto di cedere giurisdizione sulla vita delle proprie imprese.
In Italia, interessi indicibili stanno imponendo il silenzio su questa realtà pericolosa. Confindustria, con i suoi organi di stampa, pretende di rappresentare l'impresa italiana e si dice favorevole alla ratifica di queste norme sbagliate, ma cura di non far sapere ai suoi associati che per le nostre imprese, specie le medie e piccole, si aprirebbe una via di declino. E il governo (questo come il precedente) ha finora preferito sottomettersi a quegli interessi più forti, facendo credere che la presunta bontà europea di questo sistema garantirebbe all'Italia chissà quali posizionamenti di mercato e risparmi di costi.
Ma è il parlamento che deve decidere. Quando sarà chiamato a farlo (e sarà presto) dovrà scegliere se affidare al controllo degli inglesi, dei francesi e dei tedeschi il futuro delle nostre imprese. Scelga bene.
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