Per salvare il Montepaschi in campo le Fondazioni

Guzzetti: «Gli enti potrebbero rilevare i Monti bond». Così calerebbe il deficit di capitale e lo Stato non sarebbe più socio. L'ira di Btg e Fintech su Francoforte

Il presidente dell'Acri e della Cariplo Giuseppe Guzzetti candida i «Signori» delle Fondazioni a salvare il Monte Paschi, con un'opeazione di sistema, dopo gli esami patrimoniali europei: entro il 10 novembre Siena deve spiegare alla Bce come troverà i 2,1 miliardi mancanti.

Escluso un intervento diretto nel capitale, il biglietto d'ingresso è offerto dagli 1,1 miliardi di Monti Bond che Rocca Salimbeni ha ancora in cassa sui 4 complessivi sottoscritti. Titoli che le Fondazioni, ha detto Guzzetti, potrebbero valutare di ritirare laddove vi fosse una richiesta specifica dal ministero dell'Economia. La soluzione appare tecnicamente fattibile anche perché i Monti bond «sono strumenti garantiti dallo Stato e con un elevato rendimento, in linea con le linee di investimento» degli Enti, ha aggiunto Guzzetti, che lunedì ha visto per un'ora il capo della Fondazione Mps, Marcello Clarich: la cedola si attesta al 9,5 per cento.

Di certo l'intervento delle Fondazioni semplificherebbe il lavoro dell'ad Fabrizio Viola e del presidente Alessandro Profumo, perché a quel punto Mps dovrebbe trovare non più 2,1 miliardi ma «solo» 1,1. Infine lo Stato incasserebbe immediatamente un miliardo e, soprattutto, il governo Renzi potrebbe dire di non essere più il finanziatore diretto del sistema-Siena.

Quello lanciato da Guzzetti è, tuttavia, un messaggio soprattutto politico, che trasforma gli inquilini dell'Acri nei nuovi garanti delle sorti di Mps. I Monti bond equivalgono infatti in potenza, cioè se in futuro non ci fosse altra strada che procedere alla conversione, a una larga fetta di capitale dell'istituto: ai valori attuali di Borsa (3 miliardi la capitalizzazione) il 25%.

La cordata di Guzzetti & C, oltre che la stessa Cariplo, potrebbe arruolare Cariverona e Crt, già indiziate la scorsa estate per un'operazione di soccorso a favore della Fondazione Mps e imperniata sul possibile scambio di titoli senesi con azioni Intesa Sanpaolo e Unicredit.

Di certo le due big bank italiane non hanno alcuna intenzione di aprire il borsellino, come hanno confermato ieri i rispettivi capi azienda Carlo Messina e Federico Ghizzoni.

In attesa del cavaliere bianco, il Monte è tuttavia nuovamente precipitato in Borsa: -10% a un prezzo di 60 centesimi, bruciando 400 milioni di valore. L'ammanco in una settimana raggiunge il 40 per cento, quasi come se non fosse mai avvenuto l'aumento di capitale da 5 miliardi del giugno scorso.

Un pugno nello stomaco difficile da incassare soprattutto per chi, come Btg e Fintech, ha appena aperto il portafogli per fare da perno alla banca siglando un patto di sindacato sul 9% del capitale insieme alla Fondazione Mps (2,5%). Tanto che nelle sale operative prende forza la voce che i due soci sudamericani, che da poco hanno ottenuto anche un posto nel board, stiano muovendo per chiedere i danni alla Banca centrale europea di Mario Draghi, davanti alle conseguenze create dall'esercizio statistico degli stress test: Rocca Salimbeni si è vista cambiare le regole del gioco.

Lo stesso Profumo ha comunque già lasciato intendere che per il Monte sarà molto difficile restare indipendente sul medio termine.

Un aumento di capitale appare infatti inevitabile, a meno che di non ricorso a un bond ibrido computabile a patrimonio e che non vadano a buon fine una serie di cessioni al vaglio del vertice degli advisor: dal leasing al factoring fino al credito al consumo.

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