nostro inviato a Parigi
«È meglio avere cassa piuttosto che fare gli spacconi tutti i giorni». Sergio Marchionne commenta così i nuovi attacchi, come quelli sull'Alfa Romeo («non è in vendita - ha ribadito l'ad di Fiat - e se proprio lo vogliono, glielo dico anche in tedesco») partiti ieri dalla Volkswagen. I due gruppi tornano a stuzzicarsi sul campo neutro del «Mondial» dell'auto di Parigi. Vw annuncia il lancio di 140 modelli e Marchionne replica «speriamo che li vendano». I contendenti si troveranno faccia a faccia oggi per la riunione periodica dell'Acea di cui Marchionne è presidente di turno e che vede Volkswagen sotto accusa, da parte italiana, per aver ecceduto negli sconti, trascinando il mercato «in un bagno di sangue». A mandare su tutte le furie Marchionne, tanto che ieri ha minacciato di dimettersi e di portare fuori Fiat dall'Acea, la recente sparata di Eric Felber, portavoce di Wolfsburg («è insopportabile, o via lui o via noi»).
A Parigi, Marchionne torna anche sul nodo stabilimenti in Italia e sulla ricetta Usa per evitare decisioni impopolari. «Entro 18-24 mesi gli stabilimenti negli Stati Uniti di Chrysler potrebbero non essere più in grado di assorbire la domanda di auto del mercato: stiamo per introdurre il terzo turno per far fronte alla richiesta». Dunque rilancia con forza la carta dell'export come ancora di salvezza. Per questo un team di manager è a Roma per studiare, con il ministero dello Sviluppo, misure capaci di favorire l'esportazione del made in Italy, tema dell'incontro di sabato scorso tra torinesi e il governo.
Ma la strada che dovrebbe portare il nostro Paese a diventare un hub produttivo per i mercati exra-europei, garantendo così il funzionamento degli stabilimenti del gruppo (in pratica una sorta di «Fabbrica Italia per l'estero») non sarà contrassegnato solo da scelte politiche. Il rischio che si vada incontro a nuovi, e in questo caso, letali ritardi, riguarda ancora una volta l'atteggiamento dei sindacati, in particolare della Fiom. La produzione in Italia per conto di Chrysler, infatti, prima di essere deliberata, dovrà essere sottoposta all'ok del cda Usa presieduto dallo stesso Marchionne, il quale vincolerà il via libera alla garanzia che da questa parte dell'Atlantico non si ripetano ritardi, polemiche e ricorsi giudiziari: Marchionne si aspetterebbe dal governo, «oltre ad agevolazioni fiscali per le imprese e i lavoratori», anche una pressione sul sindacato più turbolento. La valutazione dei modelli da esportare, tra cui quelli previsti a Mirafiori (i Suv compatti Jeep e Fiat) è in corso, ma si presume riguardino le architetture in cui il Lingotto è più forte - i veicoli compatti e di classe media che nascono a Mirafiori, Melfi e Cassino - con la possibilità di aggiungere un'altra linea a Pomigliano d'Arco.
Vero è, comunque, che «qui in Italia le porte rimangono aperte», sottolinea Marchionne, riferendosi alla possibilità che altri (Mazda per esempio, anche se ieri ha preso le distanze) possano usufruire degli impianti, peraltro all'avanguardia dal punto di vista tecnologico, ubicati nel nostro Paese. Per ora, al riguardo, la battaglia è risultata persa. «Nessuno, da quando sono a Torino - così l'ad - ha dimostrato interesse». Il top manager rimane anche sulle sue posizioni rispetto a Confindustria, verso cui afferma di non aver alcuna intenzione di far rientrare Fiat nonostante il passaggio delle consegne da Emma Marcegaglia e Giorgio Squinzi.
Un accenno, infine, a Chrysler.
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