"Senza interventi subito, all'ex Ilva non resta che chiudere i battenti"

Il presidente Federacciai: "Troppi ostacoli politici e giudiziari, la decarbonizzazione passo obbligato"

"Senza interventi subito, all'ex Ilva non resta che chiudere i battenti"
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«È l'ora della verità per l'ex Ilva, se non si investe subito, e si decarbonizza, Taranto è morta. E l'Italia perderà definitivamente un asset strategico per la catena di approvvigionamenti dell'industria italiana». Nelle ore più dure per il futuro dello storico gruppo siderurgico tarantino, Antonio Gozzi, presidente di Duferco e di Federacciai racconta al Giornale lo stato del settore e le implicazioni che la saga di Acciaierie d'Italia potrebbero avere sul Paese in una già complicata fase di transizione ambientale e normativa.

Gozzi, è vero che soffre anche l'acciaio in Italia?

«La prima metà dell'anno è andata bene, ma ora soffriamo la contrazione della domanda e dei prezzi, specchio della difficile congiuntura. Le nostre aziende sono cresciute negli ultimi due anni, sono ben patrimonializzate, ma il 2023 si chiuderà con una produzione in calo: dai 23,5 milioni di tonnellate del 2022 caleremo a 21-22 milioni».

Solo congiuntura? O il calo ha responsabili diversi?

«Se si riferisce a Taranto voglio chiarire che l'80% dell'acciaio italiano non è più Ilva, per cui, per quanto resti un polo strategico, l'impatto sulla produzione è relativo».

Intende dire che non sarebbe una tragedia se Taranto chiudesse i battenti?

«No, non intendo questo. Ilva produce molto poco rispetto al suo potenziale (3-3,5 milioni di tonnellate su 22 milioni, ndr), ma è una produzione cruciale nella filiera per la trasformazione dell'acciaio, e consente all'industria italiana di essere indipendente, ancora per qualche tempo».

In che senso?

«La produzione che non è più arrivata da Taranto è stata sostituita per lo più da Arvedi, ma il resto, in particolare 2,5 milioni di coils (rotoli di lamiera, semilavorati metallici a forma piana) siamo stati costretti a importarli. E questo compromette la linearità dei nostri approvvigionamenti».

È una strada senza ritorno?

«La rotta può essere invertita, ma va fatto subito. Se ArcelorMittal ci mette i soldi necessari e avvia il piano industriale non c'è soluzione migliore. Ma se non lo fa, bisogna cambiare spartito».

Quanto è competitiva oggi la nostra industria dell'acciaio?

«Ancora molto. Siamo i leader, i primi in Europa per acciaio verde decarbonizzato (Scope 1) e per l'economia circolare nel settore (per l'elevato livello di riciclo della materia prima). E questo anche grazie ai tanti investimenti che il settore fa nonostante l'elevato costo del denaro, circa 2,5 miliardi l'anno».

Quindi i forni elettrici a Taranto sono necessari?

«Sono essenziali, e su questo Dri d'Italia (la società di Invitalia per il preridotto, ndr) ha fatto già un ottimo lavoro. Ma il piano industriale è fermo e se non viene attuato Ilva chiuderà perché, da qui a pochissimo, il suo acciaio prodotto con gli altoforni non sarà più sostenibile a livello economico a causa dei costi correlati alla produzione di Co2 che esploderanno dal 2026».

ArcelorMittal è il soggetto giusto per questo sviluppo?

«È il più grande siderurgico al mondo, è stata la scelta giusta e ha tutte le competenze per fare bene. Ma ora la macchina è ferma, Taranto necessita di risposte subito dal socio privato che, partito benene, nel tempo ha subìto le discutibili decisioni politiche, nazionali e locali, nonché gli estremismi ambientali».

Potranno aiutare il settore le nuove infrastrutture e il Ponte sullo Stretto?

«Sicuro. Anche se non peseranno troppo sui numeri saranno un ritorno di immagine importante. Così come sarà cruciale lo sviluppo di filiere energetiche alternative. Le rinnovabili per noi sono essenziali, ma non bastano.

In attesa del nuovo nucleare la strada è quella di sviluppare il più possibile il settore della carbon capture. Noi, come Duferco, ci stiamo impegnando molto sul fronte green e con 250 milioni di investimento inaugureremo (il 16 ottobre), a Brescia, il laminato più moderno d'Europa».

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