Economia

Spread, agenzie di rating, Ue: ecco chi "incombe" sull'Italia

Fino a che punto l'Ue limita la democrazia degli Stati membri? Bini Smaghi al Giornale.it: "In una Europa sempre più integrata i governi nazionali perdono di efficacia"

Il presidente di Snam, Lorenzo Bini Smaghi
Il presidente di Snam, Lorenzo Bini Smaghi

Al premier Enrico Letta è bastato incassare la fiducia dal governo per garantirsi il benestare delle agenzie di rating, dell'apparato di Bruxelles e, soprattutto, degli speculatori di Borsa. Oggi come già nel 2011 sono i poteri forti a fare la differenza. Nel libro Morire di austerità Lorenzo Bini Smaghi, l'ex board Bce oggi alla presidenza di Snam, racconta che nel 2011 Silvio Berlusconi sarebbe stato costretto a dimettersi da Palazzo Chigi dopo aver "ventilato in colloqui privata con i governi di altri Paesi dell'Eurozona l'ipotesi di una uscita dall'euro". Non c'è quindi da stupirsi se quando il Cavaliere ha fatto dimettere i ministri del Pdl dopo lo strappo di Letta sull'Iva, Moody's sia intervenuta a gamba tesa minacciando un nuova downgrade del rating del Belpaese. È il grande spauracchio della "stabilità politica" a tutti i costi. Un imbroglio senza precedenti che viene usato dall'Unione europea e dalla finanza per allontanare il più possibile l'orizzonte delle elezioni anticipate. Ne abbiamo parlato proprio con Bini Smaghi per capire fino a che punto la sovranità dell'Unione europea può limitare la democrazia degli Stati membri.

Bini Smaghi, l'Unione europea e le agenzie di rating hanno accolto positivamente la rinnovata fiducia al governo Letta. Il disinnesco del voto anticipato può essere davvero un bene per l'Italia?
"Dipende che cosa farà il Governo, e il Parlamento, nel periodo di tempo che ha guadagnato. Se non farà ciò che tutti si aspettano, ossia le riforme, prima o poi le agenzie di rating e le istituzioni europee toglieranno nuovamente fiducia all’Italia."

Quanto pesa realmente la stabilità politica sulla crescita di un Paese?
"La stabilità politica è una condizione necessaria – ma non sufficiente - per fare le riforme che richiedono tempo prima di produrre risultati tangibili per gli elettori. Se le scadenze elettorali sono imprevedibili, nessun governo ha il coraggio di scontrarsi contro gli interessi precostituiti di pochi, per adottare misure che vanno a vantaggio della maggior parte della popolazione e delle generazioni future. L’instabilità politica accorcia l’orizzonte di chi governa, e induce a prendere misure tampone, che nel tempo tendono a peggiorare la situazione."

La "stabilità politica" a tutti i costi non rischia di menomare la democrazia?
"La stabilità politica serve se c’è un programma di governo chiaro. In Germania, come vediamo in questi giorni, le grandi coalizioni si costruiscono sulla base di un negoziato molto duro. Ma una volta raggiunto l’accordo, il governo dura per tutta la legislatura perché i partiti che hanno sottoscritto l’accordo sono impegnati a sostenere il governo."

La Merkel è stata riconfermata alla guida della Germania. Continuerà nelle sue politiche di rigore o, come pensano molti analisti, invertirà rotta?
"La Merkel è stata votata dai tedeschi per la sua linea, che combina rigore e riforme. Non avrà incentivi a discostarsene, visto che è stata premiata."

Nel suo libro Morire di austerità, afferma che "le crisi sono di fatto il motore dell’Unione Europea". Monti, in un celebre filmato, dice che la crisi è il passaggio necessario per convincere gli Stati a cedere pezzi di sovranità nazionale. A favore di chi verrebbero ceduti? Un esempio su tutti: le politiche economiche da chi dovrebbero essere decise? Da organismi eletti dal popolo o dagli apparati?
"In un contesto europeo sempre più integrato l’esercizio del governo economico a livello nazionale perde di efficacia. Può essere più utile devolverne parte alle istituzioni europee. Questo è avvenuto per quel che riguarda la vigilanza bancaria, che è passata dalla Banca d’Italia alla Bce. Per quel che riguarda le politiche di bilancio, maggiori poteri sono stati dati all’Unione europea, in particolare al Consiglio dei ministri europei, che raggruppa i ministri dei paesi membri. La sovranità non viene ceduta ma condivisa a livello europeo, con gli altri governi."

Trattandosi di cessione di sovranità nazionale, non dovrebbe essere il popolo a doversi esprimere?
"Ogniqualvolta la sovranità viene ceduta a livello europeo, o condivisa come dicevo prima, ci vuole l’accordo di tutti i paesi, espresso in termini democratici. In Italia è il Parlamento ad esprimersi al riguardo, e lo ha fatto ad esempio nel caso del Fiscal compact e nel cambiamento della Costituzione per rafforzare i vincoli di bilancio."

Sempre nel suo libro ha messo in relazione la caduta del governo Berlusconi e la confidenza fatta alla Merkel e a Sarkozy sull'ipotesi per di far uscire il nostro paese dall'Eurozona. Può spiegarci meglio cosa è successo?
"La partecipazione alla moneta unica ha significato una condivisione di sovranità molto più ampia di quanti molti pensavano, a causa dei legami economici e finanziari che l’euro comporta. L’uscita di un paese dall’euro – che non è prevista dai trattati – può provocare danni enormi per gli altri e per l’integrità dell’intero sistema. Ci se ne è resi conto a fine 2011. Questo spiega perché ci sia stata opposizione da parte degli altri governi alle ipotesi di referendum sull’euro avanzate in Grecia da Papandreu e all’idea di una possibile uscita dall’euro ventilata in quel periodo in Italia."

In un editoriale dello scorso 24 luglio, il direttore del Corriere della Sera Ferruccio de Bortoli scriveva: "L'Italia, grazie al suo governo (Monti, ndr), ha evitato la catastrofe alla fine del 2011. L'episodio è inedito ma, nelle ore più drammatiche di quel tardo autunno, un decreto di chiusura dei mercati finanziari era già stato scritto d'intesa con la Banca d'Italia. Quel decreto rimase in cassaforte - e speriamo che vi resti per sempre -, ma vi fu un momento nel quale temevamo di non poter più collocare sul mercato titoli del debito pubblico". Cosa ne pensa? È una procedura normale all’interno dell’Unione europea o rientra nei "ricatti" di cui lei stesso parla nel suo libro?
"Non so se questo decreto esistesse o meno. L’eventuale chiusura dei mercati sarebbe stata necessaria per ristabilire la calma nel caso in cui i mercati sarebbero entrati in panico e il Tesoro italiano non sarebbe più riuscito a piazzare titoli di stato, con il rischio di default. Quando un paese dipende così tanto dai mercati finanziari, per vendere i propri titoli, deve poi sottostare alle richieste dei mercati stessi per essere credibile. Per questo bisogna mettere in sicurezza le finanza pubbliche del paese, proprio per evitare di trovarsi in quella situazione."

Recentemente Frits Bolkenstein, l’ex commissario europeo alla concorrenza e strenuo difensore dell'Unione europea, in una intervista al giornale De Volkskrant, avrebbe dichiarato che "l’euro è stato un fallimento, i Paesi del Nord devono battere moneta complementare". È uno scenario plausibile? Quali conseguenze per l'Europa e per il nostro Paese?
"Mi sembra una provocazione. Non è uno scenario pensabile quello in cui un gruppo di paesi si mette a battere la loro moneta separatamente. Bisogna semmai concentrarsi sui problemi che esistono attualmente in alcuni paesi per consentire loro di ridiventare competitivi e riprendere a crescere, uscendo dalla crisi. Prima della crisi tutti dicevano che l’euro era un successo. Ora sembra che la colpa della crisi sia solo dell’euro, quando invece il problema dipende dagli squilibri che si erano accumulati in vari paesi."

Il valore dello spread nei mesi che precedettero le dimissioni di Berlusconi era reale o viziato? Se viziato, chi c'era dietro a questo "attacco"?
"Nessuno può stabilire con certezza qual è il livello dello spread corretto in ogni periodo del tempo. Quello che è certo è che nell’autunno 2011 gli investitori non volevano più comperare i titoli di stato italiano, se non a uno sconto elevato, perché avevano paura di non essere rimborsati. Questo era il dato di fatto con cui il governo doveva confrontarsi. Gli investitori avevano paura che il governo non fosse in grado di gestire le difficoltà del momento, anche per le divisioni interne che erano emerse."

Quali sono le misure più urgenti che adesso il governo Letta deve mettere in campo?
"Il Paese non cresce perché ha perso competitività e non è attraente per chi vuole investire, per i motivi che tutti conosciamo, a partire dalle lentezze della giustizia, gli ostacoli burocratici, la tassazione troppo elevata sul lavoro e sul capitale, le rigidità del mercato del lavoro, la bassa produttività, eccc. Le misure più urgenti sono quelle necessarie per poter ribaltare questa situazione.

Altrimenti l’economia continuerà a ristagnare; e il debito pubblico ad aumentare."

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