La strategia della Commissione Ue del «tutto elettrico» dal 2035 (se poi sarà proprio così), sempre più pilotata dalla Germania, potrebbe celare la nascita successiva di un asse di interessi tedesco-cinese. Ne è convinto Pier Luigi del Viscovo, direttore del Centro studi Fleet & Mobility, secondo il quale «la deriva verso l'elettrico e l'ostracismo ai motori termici sono spinti, a livello delle amministrazioni locali, dalla propaganda ambientalista, ancor più efficace per la colpevole assenza di una contro-narrazione basata sul fact-checking». Del Viscovo aggiunge: «Sta però pian piano emergendo che le emissioni europee sono marginali e i sacrifici proposti inutili. Invece, a livello europeo bisogna chiedersi se non ci sia un piano tedesco di alleanza economico-industriale con Pechino, a scapito degli interessi degli altri Paesi membri. Le relazioni con la dittatura cinese sono oggi il vero tema dell'Europa».
Mai come da un anno a questa parte, con la pandemia che ha fornito un fondamentale assist, si parla di svolta elettrica nella mobilità. E a fare da capofila, in questa corsa ideologica, è proprio la Germania con in testa il gruppo Volkswagen che sulla «scossa» ha scommesso fiumi di miliardi. Non è un caso, per gli osservatori più attenti, che la corsa al «tutto elettrico» coincida con le prossime elezioni a Berlino, in programma domenica 26 settembre. E i temi del cambiamento climatico e della mobilità, legati a doppio filo, saranno tra quelli che decideranno la futura leadership tedesca con le conseguenti forti ricadute sulla linea politica europea.
Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, rappresenta il «braccio operativo», a Bruxelles, della cancelliera uscente Angela Merkel, ed è facile pensare che ci sia lo zampino di quest'ultima sulla proposta Fit for 55 che mira a seppellire dal 2035 tutti i motori endotermici, ibridi compresi, calando così pericolosamente il sipario su uno dei pilastri dell'industria continentale.
Dal canto suo, Volkswagen sembra aver preso le distanze dal resto dei costruttori riuniti in Acea, l'associazione che li rappresenta in Europa, guidata, tra l'altro, proprio da un tedesco, il presidente di Bmw, Oliver Zipse. Mentre Acea, con colpevole ritardo, evidenzia i rischi che il settore corre, visti i tempi ravvicinati, per il raggiungimento degli obiettivi di Bruxelles, l'ad di Volkswagen, Herbert Diess, ha cercato di fugare i timori di un impatto drammatico del «tutto elettrico» sull'occupazione. «Ci sarà bisogno - le sue parole - di molte persone nelle linee produttive anche nel 2030 e tanti lavoratori svolgeranno attività molto simili a quelle di oggi. Forse saranno più automatizzate, ma essenzialmente le attività manifatturiere non spariranno». Frasi che contrastano con le preoccupazioni, proprio in tema di lavoro e riconversione delle fabbriche, espresse da più parti, anche all'interno dello stesso mondo automotive e di cui già si avvertono i primi effetti. Un assist politico quello di Diess? Forse. Intanto, a poche settimane dal voto, Monaco di Baviera (7-12 settembre) ospiterà l'IAA, una volta Salone dell'auto di Francoforte, e da quest'anno Salone della Mobilità, grande occasione per le passerelle politiche soprattutto green.
Intanto, la crisi dei chip continua a fare danni:
per Stellantis, dopo Sochaux e Rennes-La Janais, problemi anche a Mulhouse (secondo turno sulla linea Peugeot 308 rinviato). Volkswagen ha invece interrotto la produzione di ID.3, una delle sue recenti scommesse elettriche.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.