Allegri, ma non troppo. Anche se, nel mese di luglio, l'inflazione Usa è rallentata per il quarto mese consecutivo, attestandosi al 2,9%, valore più basso dal marzo 2021, rispetto al 3% di giugno e appena al di sotto delle previsioni al 3%. Sotto controllo pure la componente core, quella che esclude le voci più volatili come energia e alimentari, salita dello 0,2% (contro lo 0,1% del mese prima) e del 3,2% su base annua. Valori accolti però senza fanfare ieri dai mercati (+0,6% Wall Street a un'ora dalla chiusura; +1% Milano; +0,4% l'EuroStoxx600) poiché sostanzialmente allineati alle attese. Ciò che gli investitori temevano era invece o un aumento oltre le aspettative dei prezzi al consumo tale da rendere meno probabile un taglio dei tassi in settembre da parte della Fed; oppure un raffreddamento del carovita così repentino da segnalare seri problema di tenuta per l'economia americana. Due ipotesi estreme scongiurate dal dato di ieri, che lascia intatte le probabilità di un allentamento monetario il mese prossimo, con un 59% di chance attribuite dal FedWatch di CME Group a una sforbiciata di mezzo punto, mentre il residuo 39% riguarda un ritocco dello 0,25 percento.
La reazione composta delle Borse segnala di fatto che i market mover, cioè gli indicatori macroeconomici in grado di condizionare l'andamento dei listini, sono altri. Tra questi, il comportamento delle famiglie misurato dalle vendite al dettaglio, in un momento in cui colossi come Airbnb, United Airlines, Delta Air Lines, Spirit Airlines, Frontier e Walt Disney hanno già lanciato l'allarme sul rallentamento dei consumi. Se il picco dal 2019 delle insolvenze legate alle carte di credito è un'altra spia rossa accesa sulle disponibilità degli americani, la vera cartina di tornasole dello stato di salute del Paese saranno i prossimi dati sul mercato del lavoro. Un ulteriore deterioramento del tasso di disoccupazione, salito in luglio ai massimi dal '21 e (4,3%) e un peggioramento attorno alle 100mila unità dei nuovi posti di lavoro, sarebbero la prova che l'economia a stelle e strisce si sta preparando a un atterraggio duro.
Anche per evitare altri rovesci borsistici che dilaterebbero i rischi di una recessione severa a causa delle forte componente azionaria nei portafogli delle famiglie americane, il numero uno di Eccles Building, Jerome Powell, potrebbe essere costretto a spalmare, fra settembre e dicembre, un ammorbidimento del costo del denaro fra i 75 e i 100 punti base. Con un problema di natura politica non di poco conto: ogni taglio dei tassi sarebbe bollato da Donald Trump come un aiuto palese alla candidata democratica, Kamala Harris.
I temi economici restano centrali nell'ultimo miglio della campagna per le presidenziali. Il presidente Joe Biden non ha infatti lesinato ieri un attacco ai rivali repubblicani che aumenterebbero i prezzi per le famiglie della classe media, mentre taglierebbero le tasse per i miliardari e le grandi aziende. Giusto per dovere di cronaca, l'inflazione core è salita del 18% durante il mandato di Biden, contro il +8% nei quattro anni di The Donald alla Casa Bianca.
Anche l'eurozona sta intanto
facendo i conti con un peggioramento del ciclo economico: in giugno la produzione industriale è calata dello 0,1% mensile e del 3,9% su base annua. Basteranno questi nuovi dati negativi a convincere la Bce a darsi una mossa?
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