Non c'è pace per Piazza Affari che continua a soffrire il mal di banca. Anche ieri si sono avvertite nuove scosse telluriche su Bpm e Banco Popolari che all'indomani della presentazione il piano di fusione hanno perso rispettivamente il 5,4% e il 6,5% trascinando al ribasso l'intero listino (-1,34%). Secondo gli analisti di Morgan Stanley, il taglio dei costi annunciato dai due istituti è insufficiente a coprire quello del capitale e per questo i ricavi del nuovo gruppo potrebbero scendere del 10% quest'anno. Ad alimentare quello che gli analisti chiamano sentiment negativo sul settore del credito è stato anche lo scenario dipinto dal bollettino di aprile dell'Abi: minore raccolta complessiva e soprattutto sofferenze nette in aumento di 500 milioni a 83,6 miliardi rispetto a l mese precedente. Si aggiungono le perplessità degli esperti di Rbs sulla «potenza di fuoco» del fondo Atlante, che potrebbe non essere «sufficiente per affrontare il problema delle sofferenze» in Italia.
Al netto dei timori sulla tenuta generale del sistema, i riflettori del mercato sono accesi sul pressing dei principali soci di Unicredit per un riassetto del governo societario. Nell'ultimo cda del gruppo il presidente Giuseppe Vita avrebbe ricevuto un mandato dai principali azionisti per esplorare le possibili soluzioni. Compreso un cambio al vertice di cui si rumoreggia ormai da mesi, con tanto di toto-candidato a occupare la poltrona dell'ad, Federico Ghizzoni, il cui mandato scade a primavera 2017: c'è chi vedrebbe bene un manager estero e chi addirittura ipotizza l'arrivo di Alberto Nagel da Mediobanca come prodromo di future sinergie. Gossip finanziari e voci di tutti i tipi, come quelle sulle lettere inviate da alcuni fondi azionisti delusi, che non trovano traccia nè conferma. Ma di certo sono destabilizzanti per una banca che si trova al momento in una situazione di stallo: al netto dei rumors o delle auto-candidature, non è facile trovare un nuovo timoniere disposto a debuttare con un aumento di capitale. Perché il messaggio del mercato è che presto si renderà inevitabile un'iniezione di liquidità, ripetutamente smentita da Ghizzoni, ma tornata di attualità dopo il salvataggio in extremis della Popolare di Vicenza attraverso il fondo Atlante. Aumento che ai prezzi di mercato (ieri il titolo ha ceduto l'1,9% a 2,8 euro) sarebbe altamente diluitivo per gli attuali soci, ovvero il fondo sovrano arabo Aabar e Blackrock, entrambi con circa il 5%, Fondazione Cariverona con il 3,4%, la Banca centrale libica con il 2,9% e la Fondazione Crt con il 2,5 per cento.
«Unicredit deve negoziare il piano sul capitale da posizioni di credibilità molto diverse da quelle attuali», commenta un analista, sottolineando che la squadra di Ghizzoni è stata indebolita negli ultimi mesi anche dall'uscita di Roberto Nicastro e del capo della divisione rischi, Alessandro Decio.
L'analista punta inoltre il dito contro i rischi della significativa esposizione della controllata Finecobank ai bond di gruppo: al 31 dicembre dello scorso anno Fineco deteneva 11,5 miliardi di bond Unicredit, utilizzati per investire la maggior parte della liquidità dei clienti, su 14 miliardi di attivi di bilancio.
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