Economia

Il tracollo dello zucchero in Italia e l'Europa che decide di farsi male da sola

L'Italia costretta a dipendere dalle importazioni e ad assistere alla chiusura dei propri stabilimenti, ecco il risultato delle politiche sullo zucchero portate avanti dai precedenti governi e dall'Europa. E adesso anche il mercato comunitario rischia di subire sonore batoste dal resto del mondo

Il tracollo dello zucchero in Italia e l'Europa che decide di farsi male da sola

Zucchero amaro, un ossimoro che rende l’idea di quanto accaduto in Europa in questi ultimi 30 anni. A cominciare dall’Italia: il nostro paese ogni anno consuma in media due tonnellate di zucchero all’anno e fino alla fine del secolo scorso ne produciamo 1.5, con il risultato dunque di essere quasi autosufficienti. Oggi dai nostri stabilimenti escono 250mila tonnellate di zucchero e dipendiamo quasi interamente dall’estero.

Come mai tutto ciò? A spiegarlo è Carlo Cambi su La Verità, in cui si fa una disamina storica di quanto accade in sede comunitaria dal 1986 in poi. In quell’anno a Bruxelles si decide di imporre le quote nazionali di produzione, introducendo forti dazi verso paesi terzi. Un modo per tutelare la produzione comunitaria interna, evitando di importare zucchero dall’esterno.

La mossa del 1986 è giustificata dal fatto che lo zucchero viene considerato un elemento strategico, dunque da tutelare sia in termini di produzione che di qualità. All’interno del mercato europeo, l’Italia ha una posizione molto importante: come detto in precedenza, si producono 1.5 tonnellate di zucchero all’anno, in tutto il paese una quarantina di stabilimenti sono impegnati a pieno regime nella trasformazione e nella lavorazione di questo alimento.

Per di più possiamo contare su grandi colossi, quali ad esempio l’Eridania acquistata da Raul Gardini il quale per dare impulso al suo progetto del grande polo chimico della Enimont, decide di provare la scalata alla francese Beghin Say. La storia poi descrive ben altri scenari: Gardini viene coinvolto nell’inchiesta di Mani Pulite, nel 1993 l'imprenditore viene trovato morto nella sua casa di Milano con l’inchiesta che lascia spazio all’idea di un suicidio, il progetto Enimont naufraga ma, come scrive Cambi, la sola idea di vedere l'Italia in grado di espandersi anche oltralpe appare come un campanello d’allarme sia per i francesi che per i tedeschi.

Questi ultimi in Europa sono i principali trasformatori di zucchero, l’attivismo italiano non viene visto di buon occhio. Ecco perché negli anni ’90 sia Berlino che Parigi iniziano a premere per la revisione delle quote nazionali di produzione, lasciando sostanzialmente via libera alla totale liberalizzazione del mercato dello zucchero europeo.

Un progetto che va avanti anche negli anni successivi fino alla firma, avvenuta nel 2006, da parte dell’allora premier Prodi e dell’allora ministro dell’agricoltura Paolo De Castro, con il quale i due pongono il nostro paese in una posizione favorevole alla fine delle quote. Ed è qui che a questo punto tedeschi e francesi ringraziano, dando il via al loro progetto di liberalizzazione.

In pochi anni il prezzo dello zucchero crolla, si passa da 600 Euro a tonnellata a 350 Euro, con l’Itala che viene enormemente penalizzata avendo importanti costi di produzione da sostenere. Molte nostre aziende non rientrano più nelle spese, i guadagni si assottigliano ed allora si inizia a chiudere baracca.

E si arriva quindi al dato odierno, che parla di appena 250mila tonnellate prodotte ogni anno e di almeno trenta stabilimenti chiusi in poco più di dieci anni. Il colosso Eridania non è più italiano, a continuare nel settore dello zucchero sono solo due stabilimenti della Coprob. Da anni oramai dipendiamo dalle importazioni, mentre in sede comunitaria si rafforzano le posizioni dei produttori tedeschi e francesi.

Ma adesso anche per loro potrebbero sorgere non pochi problemi: quanto accaduto in Italia negli ultimi anni, sta per accadere in tutta Europa. Questo perché, come sottolinea ancora Carlo Cambi, l’Ue decide nel 2017 di togliere anche i dazi aprendo il mercato dello zucchero ai paesi terzi. Il risultato è quello di un ulteriore crollo dei prezzi, con prime avvisaglie critiche anche per le aziende francesi e tedesche dove si inizia a licenziare.

I costi di produzione dello zucchero brasiliano ad esempio, in riferimento al recente accordo con il Mercosur, sono molto più bassi di quelli che deve sostenere qualunque azienda europea del settore ed in molti prevedono una vera e propria “invasione” di zucchero proveniente dall’altra parte del pianeta.

Con un danno quindi molto elevato per chi lavora in questo ambito, oltre che per i consumatori i quali potrebbero avere a tavola un prodotto la cui qualità non è certificata. In poche parole, se prima è l’Europa a marginalizzare l’Italia, adesso è il mercato globale a marginalizzare l’Europa. Accade per lo zucchero, ma questo è solo un esempio di quanto succede in generale nel settore agro alimentare.

E di quanto accade in tutti quei contesti dove l’unico vero “credo”, in sede comunitaria, sembra essere quello della totale deregolamentazione.

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