In Italia circa un lavoratore su quattro ha scelto di integrare privatamente i suoi contributi. Un dato piuttosto allarmante visto e considerato che con la recente riforma Fornero – ma anche prima, con il passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo -, nella migliore delle ipotesi potremo andare in pensione con il 50-60% dello stipendio medio che abbiamo percepito durante la nostra carriera.
In parole povere, gli italiani conoscono il problema della pensione in caduta libera ma fanno poco per risolverlo. Colpa della scarsa conoscenza degli strumenti sul mercato. E del timore che le forme pensionistiche alternative possano far svanire nel nulla i propri soldi a causa della cattiva gestione di chi le ha in carico o di chi le vende.
È dunque importante saperne un po' di più. Perché la previdenza integrativa può aiutarci ad avere una vecchiaia più serena.
Ad oggi gli italiani hanno tre strade per integrare la loro pensione: i fondi aperti (sono iscritti circa un milione di italiani), quelli chiusi o negoziali (scelti da quasi due milioni di lavoratori) e i piani individuali pensionistici (Pip) di tipo assicurativo (li hanno in 2,5 milioni). Inoltre, esistono i piani individuali pensionistici e i fondi cosiddetti preesistenti – e non più erogabili – perché nati prima del decreto legislativo 124 del 1993 che ha disciplinato la previdenza complementare per la prima volta. I fondi aperti sono forme pensionistiche complementari istituite da banche, imprese di assicurazione, società di gestione del risparmio e società di intermediazione mobiliare e sono sottoscrivibili da qualunque tipo di professionista.
I fondi pensione negoziali o chiusi sono, invece, forme pensionistiche complementari istituite dai sindacati o dai datori di lavori nell'ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale. In questo caso, solo i professionisti con un contratto che prevede questa opzione possono aderirvi. A questa tipologia appartengono anche i fondi pensione cosiddetti territoriali, istituiti cioè in base ad accordi tra datori di lavoro e lavoratori appartenenti a un determinato territorio o area geografica. La forma più gettonata di pensione complementare è, invece, quella offerta dal mondo assicurativo. Nel caso dei Pip, l'investimento non avviene attraverso un fondo ma attraverso una polizza assicurativa di tipo unit linked o Vita. Tutte queste forme di pensione integrativa prevedono di dedurre dall'imponibile i contributi versati fino a un massimo di 5.164,57 euro l'anno.
Ma quando si sceglie di integrare privatamente la propria pensione è bene conoscere anche i costi cui si va incontro: per questo la Covip ha ideato l'Isc, indice sintetico di costo che deve essere esplicitato per ogni prodotto presente sul mercato, che rende l'idea di quanto realmente si stia pagando per una pensione privata. Ad ogni modo, in media i fondi chiusi sono di solito i più economici, seguiti dai fondi aperti e dai Pip, i più costosi.
Tanto per avere un'idea nel 2014 gli investimenti nei fondi pensione negoziali e nei fondi aperti hanno reso in media, rispettivamente, il 7,3% e il 7,5%, mentre i Pip hanno guadagnato il 7,3%. Ma una volta scelto il prodotto, oltre ai costi vanno considerate anche le caratteristiche dell'offerta. Prima di tutto, la scelta di un comparto su cui investire che può essere azionario, obbligazionario o bilanciato.
In questo caso, il consiglio degli esperti è sempre lo stesso: per una persona giovane che ha davanti a sé 40
anni di contributi è consigliabile un maggiore profilo di rischio aumentando l'esposizione al mercato azionario. Chi invece è più vicino alla pensione è meglio che scommetta sua una strategia maggiormente obbligazionaria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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