Tutti i colpi di Marchionne il manager dei due mondi

di Pierluigi Bonora

Il manager dei due mondi (Torino e Detroit), Sergio Marchionne, il primo giugno prossimo farà dieci anni alla guida del gruppo Fiat. E con largo anticipo, visti i margini dilatati in virtù dei quali avrebbe potuto chiudere la partita con Veba, ha voluto fare l'ennesimo regalo, il più importante in assoluto, alla famiglia Agnelli: la conquista definitiva di Chrysler.
L'accordo di Capodanno, dopo una lunga trattativa con il fondo Veba (incontro decisivo il 28 dicembre a Vero Beach, in Florida, e ok dal cda Fiat il 29), è però solo l'ultimo di una serie di colpi che Marchionne ha messo a segno: dal salvataggio di una Fiat, che nel 2004 era praticamente fallita, al suo rilancio, fino all'acquisizione a sorpresa della comatosa Chrysler, riavutasi a tempo di record grazie alla terapia intensiva a cui è stata sottoposta e ora al quarantaquattresimo mese consecutivo con le vendite in crescita. E pensare che dieci anni fa, alla morte di Umberto Agnelli, forse nessuno, a parte Gianluigi Gabetti, uomo di fiducia della famiglia, e il giovanissimo John Elkann, all'epoca nominato vicepresidente del Lingotto, avrebbe scommesso sul «carneade» Marchionne. Scommessa abbondantemente vinta. Non c'è voluto molto tempo a Marchionne per farsi conoscere. E anche il suo primo «colpo» era coinciso con una particolare ricorrenza: San Valentino. Il 14 febbraio 2005, infatti, da New York giungeva notizia che la notte precedente Fiat era riuscita a chiudere i rapporti con General Motors, un divorzio che al gruppo americano costò 2 miliardi di dollari. L'assegno che Marchionne strappò all'amico Rick Wagoner per il Lingotto significava l'inizio di un nuovo percorso.
Poco tempo dopo sempre Marchionne, obbligando il pool di banche a convertire in azioni i 3 miliardi del prestito convertendo ottenuto dall'ex presidente Paolo Fresco, rese necessario quell'equity swap orchestrato da Gabetti e Franzo Grande Stevens che consentì alla famiglia Agnelli di mantenere il controllo di Fiat, evitandone lo spezzatino.
È datato invece fine 2009 il blitz su Chrysler, costruttore americano finito nel gorgo della crisi e per il quale nessuno tra i big dell'auto, incluso Carlos Ghosn (Renault Nissan), aveva risposto alle richieste di aiuto avanzate dai leader di allora, Bob Nardelli e Tom La Sorda. Tutti tranne uno, cioè Marchionne, pronto ad affrontare un secondo risanamento, con la consapevolezza che quello di Fiat non era ancora concluso. Non era un mistero che il Lingotto all'epoca cercasse un partner e, a questo scopo, avesse messo nel mirino proprio il mercato americano. Gli altri «colpi»: lo spin-off del 2010 (da una parte Fiat Spa e dall'altra Fiat Industrial) che ha posto il Lingotto nelle condizioni di avere mano libera in tema di alleanze; e la successiva fusione tra l'americana Cnh e Fiat Industrial, conclusa lo scorso anno. Il resto è storia di queste ore.

Alla fine di aprile il top manager toglierà il velo al piano industriale del settimo colosso mondiale dell'auto: Fiat Chrysler. L'attesa è per il ritorno in pompa magna di Alfa Romeo sul palcoscenico internazionale. È la prossima sfida, forse l'ultima del ciclo Marchionne.

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