Non era un semplice ballon d'essai la proposta di una tassa a livello globale sulle multinazionali avanzata nei giorni scorsi dal segretario al Tesoro Usa, Janet Yellen. La macchina è già in moto da tempo, e ora la discussione sembra quasi giunta al traguardo. Questione di mesi, per la stretta. Nel comunicato finale diffuso ieri, il G-20 indica come possibile il raggiungimento di un'intesa entro la metà del 2021, mentre il ministro dell'Economia, Daniele Franco, ha spiegato che un accordo «è atteso» in occasione del prossimo vertice di luglio, a Venezia, dei ministri finanziari dei venti grandi. Il braccio destro di Mario Draghi ha inoltre aggiunto che l'idea della Yellen «è coerente» con la proposta dei due pilastri elaborata dall'Ocse su cui si sta lavorando.
L'impianto su cui lavorare c'è, il consenso di massima pure, ma Franco non ha nascosto che la trattativa sarà comunque «complessa». E non solo perché andranno convinti i Paesi che attraverso tassazioni benevole, se non proprio da paradisi fiscali, sono finora riusciti a calamitare le big corporation. Occorrerà anche stabilire quale fetta di imposte spetterà al Paese in cui la multinazionale ha generato i profitti. L'Unione europea si batte da anni contro l'elusione fiscale dei grandi gruppi, da cui derivano perdite per 80 miliardi di dollari, ben oltre i 49 miliardi di minor gettito sopportati dagli Usa.
«Non stiamo solo mettendo fine alla partecipazione degli Stati Uniti a questa corsa alla riduzione (della tassazione) - ha detto ieri l'ex leader della Fed - , il disegno di legge incoraggia il mondo intero ad abbandonare questa pratica». La minimum tax mondiale proposta dalla Yellen andrebbe a colpire i profitti realizzati oltre confine e rientra nel riordino della fiscalità sulle imprese, da cui l'amministrazione Biden conta di incamerare 2.500 miliardi in 15 anni. Un piano, necessario per finanziare il progetto di rinnovamento delle infrastrutture da 2.200 miliardi, che ha come suo perno l'innalzamento dal 21 al 28% delle aliquote sulle società. I tagli fiscali introdotti da Trump, sostiene la Casa Bianca, hanno incentivano il riacquisto di azioni proprie e la distribuzione di dividendi, piuttosto che incoraggiare nuovi investimenti.
Per l'America è ora necessario un cambio di paradigma: «Scegliendo di competere sulle tasse - ha spiegato la Yellen - , abbiamo trascurato di competere sull'abilità dei nostri lavoratori e sulla forza della nostra infrastruttura.
È una competizione autolesionista, motivo per cui proponiamo questo piano fiscale Made in America». Resta da vedere se il pacchetto supererà il fuoco di sbarramento del Congresso, dove anche alcuni democratici moderati hanno già annunciato di voler dare battaglia.
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