«Aspettare troppo è un rischio». Janet Yellen è pronta ad alzare i tassi. L'America, forse, un po' meno. Ma ormai il dado sembra tratto, e dopo la cacofonia di voci dissonanti fra i vari governatori, la presidente della Fed ha indicato ieri a Washington quale sarà verosimilmente la decisione che verrà presa nella riunione del prossimo 16 dicembre. L'intervento tenuto in serata all'Economic Club ha visto una Yellen molto meno abbottonata rispetto alle più recenti apparizioni, quando opponeva una chiusura a riccio alle domande sulla questione che da mesi tieni i mercati sulle spine. Forse perchè dai piani alti di Eccles Building si vedono meno nubi sull'economia a stelle e strisce e meno turbolenze arrivare da Oriente. Il successore di Ben Bernanke ha infatti sottolineato «il continuo miglioramento del mercato del lavoro» che «aiuta a rafforzare la fiducia che l'inflazione torni al nostro obiettivo del 2% nel medio termine». Valutazioni che sembrano trovare conferma nell'ultimo sondaggio di Adp, secondo il quale sono stati creati in novembre 217mila posti di lavoro (190mila secondo le attese degli analisti). Peccato, però, che le nuove assunzioni riguardino soprattutto il settore dei servizi, in particolare baristi e commessi di negozio, mentre l'industria continua a licenziare. Altrimenti non si spiegherebbe come mai gli indici manifatturieri Usa flirtano con la recessione (l'Ism è sceso il mese scorso a quota 48,6, la lettura più fiacca da giugno 2009); nè che, sempre in novembre, gli impieghi da capofamiglia sono stati appena 36mila e che il totale degli occupati, 70,4 milioni, mostra ancora un disavanzo di 1,6 milioni di unità rispetto al dicembre 2007.Ma la Fed vede il bicchiere mezzo pieno, confortata dal fatto che «i rischi al ribasso dall'estero sono diminuiti dall'estate scorsa», e che la frenata della Cina «continuerà probabilmente a essere modesta e graduale». Insomma, ci sono le condizioni per dare il primo giro di vite ai tassi dal 2006. Anche perchè, sottolinea la Yellen, se si «dovesse posticipare l'inizio della normalizzazione della politica monetaria troppo a lungo, dovremmo probabilmente effettuare una stretta in modo relativamente brusco». Con il rischio di squilibrare i mercati finanziari - ha aggiunto - e di spingere forse «inavvertitamente» l'economia in recessione. Inoltre, mantenere i tassi al loro livello attuale - pari allo 0-0,25% - troppo a lungo potrebbe anche «incoraggiare l'assunzione di rischi eccessivi e dunque compromettere la stabilità finanziaria».
Parole che non hanno smosso Wall Street (-0,20% a un'ora dalla chiusura), ma hanno ricacciato l'euro al di sotto della barriera degli 1,06 dollari, mentre l'andamento dei future indica ora il 75% di possibilità di un aumento di un quarto di punto dei tassi.Se così sarà, si verrà a compiere la prima divaricazione tra la politica monetaria Usa e quella dell'eurozona, con la Bce che oggi dovrebbe annunciare l'espansione del programma di acquisto di titoli.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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