Egitto, il fallimento dei laici: piazza ai militari, voti all’islam

Egitto, il fallimento dei laici: piazza ai militari, voti all’islam

È un denso fumo nero che si alza dalle tende dei manifestanti di piazza Tahrir a marcare in Egitto l'anniversario dell'inizio delle rivolte arabe. Il 17 dicembre 2010, a Sidi Bouzid, cittadina rurale della Tunisia, Mohamed Bouazizi, venditore ambulante, si diede fuoco per protestare contro i maltrattamenti delle forze di polizia, innescando proteste in tutto il mondo arabo. A un anno da quei fatti, soldati e agenti in borghese hanno fatto irruzione ieri nella piazza simbolo della rivoluzione egiziana, dando fuoco alle tende dei manifestanti che occupano il centro del Cairo, in protesta contro i militari che da febbraio governano il Paese. Gli attivisti accusano i generali di utilizzare le stesse modalità dell'ex regime - arresti arbitrari, torture, abusi delle forze dell'ordine - di voler bloccare la transizione democratica per mantenere i propri privilegi.
Le violenze sono iniziate venerdì. Mentre nei seggi si contavano i voti del secondo turno delle elezioni parlamentari - che vedono i Fratelli musulmani e i salafiti, corrente islamista ultra conservatrice, in forte vantaggio - i manifestanti e le forze di polizia si sono scontrati nelle strade adiacenti alla piazza, vicino alle sedi di governo e Parlamento. Le forze liberali e laiche che sono state il motore della rivolta egiziana hanno fallito nel tradurre politicamente gli sforzi rivoluzionari e oggi faticano a controllare una piazza arrabbiata. I morti in 24 ore di scontri sono almeno nove. Gli scontri sono iniziati quando le forze dell'ordine sono intervenute per disperdere un sit-in davanti al Parlamento. Ieri il premier Kamal Al Ganzouri ha ammesso che alcuni manifestanti sono stati uccisi da armi da fuoco, ma ha negato che militari e polizia abbiano usato violenza: secondo lui, «un gruppo avrebbe fatto fuoco sui manifestanti da dietro». Il premier, avanzo di quel regime che la rivoluzione non ha completamente estirpato, ha usato toni che ricordano quelli dell'ex raìs Hosni Mubarak nei giorni della sua caduta. «Questa non è la rivoluzione ma un attacco», ha detto, aggiungendo che dietro gli scontri ci sarebbero forze straniere.
Nelle strade del centro del Cairo, i manifestanti hanno lanciato sassi contro soldati e poliziotti. I militari hanno cominciato a costruire un muro di cemento per bloccare le strade che portano a Tahrir. Sul web circolano video di pestaggi delle forze dell'ordine, di agenti che lanciano pietre dai tetti delle case. Per protesta contro le repressioni, undici membri di un consiglio appena formato dalla giunta militare per supervisionare la stesura della Costituzione si sono dimessi.
A un anno dallo scoppio delle primavere arabe, nel centro del Cairo si combatte mentre i movimenti islamisti conquistano voti, lasciando i gruppi liberali al terzo posto. Alla fine del primo turno elettorale, Ahmed Abu Baraka, consulente legale del partito Giustizia e Libertà, aveva detto al Giornale che il movimento si aspettava il 50% delle preferenze. «A questo abbiamo puntato, questo stiamo ottenendo», aveva detto. I giovani e le forze laiche che a gennaio sono stati i costruttori della rivolta non sono riusciti a trasformare l'entusiasmo rivoluzionario in risultati politici. E con il rogo delle tende di Tahrir stanno perdendo anche la piazza.

Alla fine del primo turno elettorale Hala Mustapha, del nuovo Partito socialdemocratico egiziano - gruppo liberale - raccontava al Giornale come fin dalla chiusura delle urne le forze rivoluzionarie si fossero rese conto di aver sbagliato strategia fratturandosi in piccoli gruppi davanti all'onda degli islamisti: «Ora dobbiamo unire le forze e ricominciare da capo».

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