Egitto, finisce nel sangue la rivolta dei cristiani

È degenerata nel sangue la manifestazione che i cristiani copti hanno inscenato ieri pomeriggio nel centro della capitale egiziana per protestare contro le aggressioni alle loro comunità che nei giorni scorsi hanno portato all’incendio di una chiesa nella provincia meridionale di Assuan: a tarda sera un bilancio provvisorio riferiva di 22 morti (di cui 18 tra i manifestanti e quattro militari) e un centinaio di feriti, molti dei quali tra le forze di sicurezza.
La manifestazione, dai toni accesi, è cominciata nel quartiere settentrionale di Shubra, per poi spostarsi verso il cuore del Cairo: l’obiettivo dei dimostranti era, come già in altre simili occasioni nel recente passato, la sede della televisione pubblica. Sembra secondo fonti semiufficiali che, mentre i soldati sparavano in aria per disperdere alcune migliaia di manifestanti radunatisi sul lungo Nilo davanti al palazzo che ospita la tv di Stato, tra i manifestanti - che gridavano la loro rabbia con slogan tra cui «questo è il nostro Paese» - qualcuno avrebbe sparato contro di loro. Dal gruppo dei dimostranti sarebbero partite anche bottiglie molotov e lanci di pietre contro i soldati. Un mezzo della polizia è stato incendiato. Ma un dimostrante cristiano ha raccontato le cose diversamente, gettando una luce inquietante sul clima che si va creando nell’Egitto del dopo-Mubarak. «La protesta era pacifica. Volevamo tenere un sit-in, come sempre. Poi siamo stati attaccati e un veicolo militare è passato sopra un marciapiede, schiacciando almeno dieci persone. L'ho visto io». Altri testimoni hanno confermato il suo racconto e aggiunto che poi i soldati hanno aperto il fuoco sui dimostranti.
La minoranza cristiano-copta egiziana è la più numerosa dei Paesi arabi: è stimata in circa il 10 per cento della popolazione dell’Egitto, ossia attorno agli 8 milioni di persone. I recenti sviluppi politici sembrano aver dato agli estremisti musulmani nuova lena nell’aggredirli come «infedeli», ma anche prima episodi di intolleranza violenta nei loro confronti non erano infrequenti. L’anno scorso e nei primi mesi di quest’anno ci sono stati diversi casi di assalti a chiese, il più grave dei quali, ad Alessandria, aveva provocato una decina di morti quando un commando aveva fatto irruzione con bombe durante la Messa di Capodanno nella cattedrale.
Nonostante nelle settimane delle grandi manifestazioni cairote contro il regime di Mubarak musulmani e cristiani avessero marciato insieme, il clima d’intolleranza verso i copti sta peggiorando: le aggressioni continuano e molti abbandonano il Paese, un po’ come è avvenuto nell’Irak del dopo Saddam, dove la minoranza cristiana ha perso così circa la metà della sua consistenza. Altri però non si rassegnano a subire e protestano anche con veemenza, chiedendo protezione alle forze dell’ordine e visibilità sui media per la loro tragedia.

In serata, in risposta a quanto andava ancora accadendo a poca distanza, circa tremila persone, musulmani e cristiani insieme, si sono radunate nella grande piazza Tahrir simbolo della rivolta scandendo lo slogan di quei giorni che li videro affratellati: «Musulmani e copti, una sola mano». Ma il sangue, purtroppo, continuava a scorrere.

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