da Roma
«La legge non è uno strumento di formazione di monopoli economici; e ove questi esistano, li sottopone a pubblico controllo a mezzo di amministrazione pubblica delegata o diretta». Questo testo, datato 1947, avrebbe potuto - o meglio, avrebbe dovuto - far parte della Costituzione della Repubblica italiana. Ma la proposta di Luigi Einaudi alla Costituente venne respinta «con motivazioni non convincenti - ricorda oggi Mario Draghi - e una normativa antitrust arrivò molto dopo la sua morte».
A Londra per la presentazione dei Selected Economic Essays di Einaudi, Draghi ricorda il suo predecessore alla guida della Banca dItalia concentrandosi su un tema fondamentale del pensiero einaudiano: la libertà economica. In uno scritto famoso, egli celebrò «la bellezza della lotta», pacifica certo, tra idee diverse, tra operatori di mercato, anche tra classi sociali. «La concorrenza genera progresso; la regolamentazione eccessiva, il collettivismo forzato, la pianificazione dallalto lo ostacolano», osserva lattuale governatore.
Einaudi fu voce di minoranza nellItalia del Dopoguerra. Scrisse che lesistenza di ostacoli allinnovazione - «trincee», li definiva - in Italia era molto più diffusa che altrove: dazi doganali, norme contro lingresso di nuovi concorrenti, leggi che ostacolano lintroduzione di prodotti innovativi, accordi di cartello. Draghi ricorda che Einaudi denunciò anche i monopoli privati del nostro Paese, e i tentativi delle imprese private di introdurre restrizioni di mercato. Ma la fonte principale di restrizione dei mercati, aggiunge il governatore, «per lui era lo Stato, in una forma o nellaltra». E aveva scarse simpatie per le numerose restrizioni allattività bancaria, che sono sopravvissute fino agli anni Novanta. Ma Einaudi, aggiunge Draghi, fu anche uomo dazione: lo testimonia la battaglia, vittoriosa, contro linflazione galoppante dellimmediato Dopoguerra.
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