Elezioni francesi, parla Sarkozy: "La mia destra gramsciana"

Il candidato neogollista in corsa per l'Eliseo (leggi la biografia) fa sue le parole di Gramsci: "Il potere si conquista con le idee. E la sinistra ha paura: sa qual è la posta in gioco. Tutto si ordina attorno "alla crisi d'identità della Francia. I francesi hanno capito la mia battaglia ideologica"

Elezioni francesi, parla Sarkozy: 
"La mia destra gramsciana"

Moltissimi indecisi alla vigilia del voto. Ciò la preoccupa?
«E perché? Gli indecisi hanno sempre votato quanto i decisi. Sono favorito anche fra chi voterà la prima volta! La battaglia non è vinta, anzi. Ma la mia campagna ha un’eco profonda».
Quali ne sono stati i momenti forti?
«La manifestazione del 14 gennaio a Parigi, alla porta di Versailles; poi il lancio del dibattito sull’identità; infine gli scontri alla Gare du Nord, quando la sinistra ha cercato di scusare la teppa».
Quali i momenti spiacevoli?
«Mentre ero all’Isola della Riunione, certi miei collaboratori sono parsi contestare la cifra del mio progetto. Poi la parentesi di tre settimane, quando ho dato l’impressione di non aver più nulla da dire. Mi suggerivano di rassicurare; di colpo ogni asperità veniva sfumata; ero diventato un candidato classico. Ma non era quel che i francesi s’aspettavano».
La palma dell’«antisistema » è ambita da tutti…
«Pensi a quante me ne hanno dette perché parlavo di rottura! Ora se la strappano dimano. Averlo fatto per primo dovrebbe favorirmi. Dal 2002 mi sono costruito a margine di un sistema che non mi voleva presidente dell’Ump, che rifiutava le mie idee come ministro dell’Interno e che contestava le mie proposte».
A tre giorni dal primo turno sembra che nessun tema abbia caratterizzato la campagna.
«Non sono d’accordo. I valori sono il vero tema delle elezioni presidenziali. Certo, è già successo che un unico tema s’imponesse: nel 1997, le 35 ore e gli impieghi per i giovani; nel 2002, la sicurezza. Dietro le apparenze di un certo zapping, quest’anno tutto - lavoro, istruzione, immigrazione, sicurezza - si ordina attorno alla crisi d’identità della Francia. Da qui la mia campagna sui valori, che disorienta certi commentatori. Ma i francesi ne hanno capito la novità. La mia lotta non è politica, ma ideologica. La sintesi delle mie convinzioni è nel mio ultimo libro, Ensemble. In fondo mi sono appropriato dell’analisi di Gramsci: il potere si conquista con le idee. È la prima volta che un uomo di destra fa questa battaglia».
Quando l’ha deciso?
«Nel 2002, quindici giorni dopol’ingresso al ministero degli Interni, una certa stampa mi ha attaccato: “Sarkozy fa la guerra ai poveri”. Mi sono detto: o cedo e non potrò più far nulla; o comincio la battaglia ideologica, dimostrando che la sicurezza serve anzitutto ai più poveri. Dal 2002, ripeto, ho dunque aperto una lotta per prevalere nel dibattito ideologico. Ogni sera parlo della scuola, denunciando l’eredità del 1968. Denuncio il relativismo intellettuale, culturale, morale… La violenza della sinistra contro di me prova che essa ha capito la posta in gioco».
La Francia va a destra?
«Contesto la “destrizzazione” dell’elettorato, che è un’idea da microcosmo, nata dal pensiero unico. Molti operai, molte persone di sinistra vogliono che si parli della nazione. Parlo d’identità nazionale perché penso che alla gente occorrano punti di riferimento. Se ciò è essere di destra, quando difendo potere d’acquisto e salari sonodi sinistra? Nazione, potere d’acquisto e lavoro sono valori che superano la barriera fra destra e sinistra. La Francia del no al referendum europeo c’è sempre. Ho voluto dirle che ne avevo capito la sofferenza, l’esasperazione, la crisi d’identità».
L’accusano di rincorrere Jean-Marie Le Pen.
«Caso mai è Le Pen che rincorre me, almeno stando alle sue ultime dichiarazioni. Io non parlo a Le Pen, che mi contesta, come figlio d’immigrato, il diritto di candidarmi. Le Pen non è proprietario dei suoi voti, come non lo sono io. Parlo ai suoi come agli altri elettori».
Sul piano dei valori lei come si distingue da Ségolène Royal?

«Sono per la promozione, lei è per il livellamento. Per me le 35 ore sono il pavimento, per lei il soffitto. Sono contro regolarizzazioni globali in tema d’immigrazione, lei annuncia la regolarizzazione di genitori e nonni di tutti i figli d’immigrati scolarizzati in Francia. Mi sembra anche troppo! Sono per dare scelte ovunque, lei per bloccare tutto per statuto. Queste sono vere differenze».
E François Bayrou?
«Si dice più a sinistra di Ségolène Royal. Folgorante evoluzione! Se l’avesse avuta da adolescente, chissà dove si sarebbe spinto… Ecco un uomo che pretende di rompere col sistema e poi prepara con Michel Rocard combinazioni di apparati alle spalle dei francesi. Lo immagini al potere: immobilismo prima, instabilità poi. S’è visto in Italia. Si comincia a vedere in Germania».
Perché di recente si è riferito a Giovanni Paolo II?
«Perché con le convinzioni haabbattuto ilmurodi Berlino. Perché ha detto di non aver paura. Perché ha saputo unire apertura a fermezza. Quale esempio migliore?».
E che cosa dice delle “radici cristiane” dell’Europa?
«Come contestarle? Dietro la morale laica e repubblicana della Francia ci sono duemila anni di cristianità. Dirlo non significa militare per una Chiesa, ma guardare la storia francese com’è e quel “lungo mantello di chiese” che la copre. La questione di Dio nella Costituzione europea non si pone più, perché quella Costituzione non c’è. Vano battersi su questo. Ma le radici cristiane dell’Europa e della Francianon si possono ignorare».
In economia non c’è un distacco fra le sue posizioni liberali di quattro anni fa e quelle attuali?
«Non direi. Nel 2004 ho salvato Alston e tutti mi hanno trattato da dirigista. Nel 2007vogliounapolitica industriale della Francia. Nel 2005 mi sono battuto contro i margini occulti delle grandi superfici. Nel 2007 faccio campagna per il potere d’acquisto. Mi pare coerente».
Lei critica i golden parachutes e il presidente della Confindustria insorge…
«Il golden parachute è un’assicurazione contro l’insuccesso. Ma il capitalismo compensa i rischi assunti se c’è successo. Sono per il compenso ai padroni che riescono, non agli altri! Occorre dunque una legge per finirla con tale perversione del capitalismo». Rapidamente?
«Entro l’anno, come per i servizi minimi in caso di sciopero, di cui si parla da vent’anni; per la defiscalizzazione degli straordinari; per la soppressione dell’imposta di successione; per la deduzione degli interessi sui prestiti per la primacasa. Misure subito stimolanti per l’economia».
Sue prime iniziative, se eletto?
«Fissare una giornata per l’incontro con le Ong, onde preparare gli accordi sociali in materia ambientale di settembre. Vorrei anche passare subito una giornata con le parti sociali, fissando le modalità dei quattro vertici di settembre: su potere d’acquisto e salari; su contratto di lavoro e flessibilità; su eguaglianza di salari maschili e femminili; sull’avvio della riforma della democrazia sociale».
Pensa sempre di sperimentare l’Iva sociale?
«Sì, perché siamo in un mondo dove tutto è fatto per tassare il lavoro, scoraggiandolo. E perché le importazioni devono assolutamente contribuire a finanziare la nostra modernizzazione». Come?
«O applicando l’Iva sociale in un settore d’attività, casa o automobile, per esempio, o in ogni settore dell’economia: potremmo provare per due anni, con una clausola di revisione annua, osservando l’evoluzione dei prezzi».
Non teme di indicizzare ancora i salari sui prezzi? «Perché non parlarne? Son finiti i tempi di Raymond Barre, quando il capitale andava remunerato più del lavoro. Oggi tutto è indicizzato, salvo i salari: non verrebbe in mente a nessuno che l’indice edilizio resti a zero. Morale: il salariato si trova stretto fra disoccupazione e illegalità dell’indicizzazione dei salari sui prezzi. E a causa delle 35 ore non ha margine per negoziare l’aumento del salario. Mi pare ingiusto. Non si tratta di un’indicizzazione generale, ma si può pensare di abolire il divieto e aprire il negoziato».
Lei ha rinunciato a chiedere la riforma della Banca centrale europea. Perché?
«Vano chiedere una riforma degli statuti che non otterremmo, perché in materia nonci sarà unanimità dei Paesi europei…».
Non rischia di scontentare la Francia del no, rifiutando il secondo referendumsulle istituzioni europee?
«Il popolo ha detto no alla Costituzione: quel che è detto, è detto. Non chiedo una nuovaCostituzione, ma un trattato semplificato ». Qual è il suo obiettivo per la sera del primo turno?
«Qualificarmi per il secondo, col maggior vantaggio possibile».
Ha voluto raccogliere la destra. Ma dove troverà i voti occorrenti per il secondo turno?
«Insomma, se sarò in testa al primo turno, avvicinandomi al 30 per cento, troverò altri consensi più difficilmente che col 20 per cento? Strano ragionamento…».
Al secondo turno, se avrà di fronte la Royal, come conquisterà gli elettori di Bayrou?
«Non ho mai attaccato Bayrou con la violenza che lui usa contro di me; e non ho mai detto male degli elettori dell’Udf. È Bayrou che ha scelto di essere oggi un candidato di sinistra ed è per questo che i suoi elettori lo lasciano: non fatevi rubare le idee, non fatevi rubare le schede elettorali! Siete elettori di centro, non fatevi trascinare nell’alleanza da Besancenot alla Royal!».
I deputati dell’Udf avranno contro un candidato dell’Ump? «Risponderò dopo il primo turno, quando saprò l’atteggiamento di Bayrou. Se confermerà d’essere a sinistra, ne trarrò le conseguenze; se tornerà a destra, anche».
Al secondo turno Bayrou le pare avversario più temibile della Royal?
«No, il secondo turno sarà difficile comunque e si deciderà al fotofinish.Nessun avversario è facile, nessun avversario è invincibile».

(Leggi la biografia di Sarkozy)

N. Beytout, A. Brézet, C. Jaigu e J. Weintraub © Le Figaro/Volpe (Traduzione di Maurizio Cabona)

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