Elu, scusa se ti sballottiamo come un pacco postale

Cara Eluana, lascia almeno che qualcuno ti chieda scusa. Se davvero è con le prove terrene che si conquista il credito eterno, c’è da chiedersi quale inestimabile beatitudine attenda te nel domani dei tempi, quando il Cielo ti riprenderà. Quello che stai sopportando qui, da sedici anni, dal momento del dannato incidente, è tale da garantirti il massimo dei premi. Persino Nostro Signore ha penato meno: la sua passione si è risolta nel giro di pochi giorni. A te sta toccando un tormento senza fine: neppure adesso, che dalle nebbie della nostra pochezza umana è emersa una fine per decreto, questa fine è concessa. Tu sei ancora una persona di inestimabile valore, ma ti stiamo trasformando in un ingombrante pacco postale, del genere che dopo mille equivoci e duemila contrattempi viene continuamente rispedito al mittente. Per tuo padre Beppino, che con la sentenza della Cassazione si era illuso di liberarti una volta per tutte, il supplizio continua. Fuori dalle risse politiche, in giro per l’Italia normale, tutti quanti ci stiamo ponendo una semplice e accorata domanda: ma cosa deve ancora succedere, perché in questa casa - in quel che resta - possa finalmente tornare un poco di quiete?
Ogni giorno, questa insostenibile storia senza fine si allunga di un altro giorno ancora. Si fa presto a dire stacchiamo il sondino: ovviamente è un modo di dire, dato che sono serviti anni e anni. Ma una volta presa la decisione, ci stiamo accorgendo che questa decisione comunque non decide niente. Bisogna trovare il luogo dove staccare e l’essere umano che materialmente stacchi. Per chi ha inseguito questo finale, saranno il luogo e l’essere umano che concederanno il meritato sollievo a te e a tuo padre. Per chi ancora adesso lo rifiuta, saranno il luogo e l’essere umano che crudelmente ti assesteranno l’ultima spallata verso il baratro profondo. Comunque lo si giudichi, quest’ultimo, insignificante, elementare gesto resta però di portata immensa. Guarda caso, neppure i più disinvolti di noi riescono in questi momenti a considerarla una banalità. Perché qualunque sia il nostro credo, abbiamo davanti te, fragilissima Eluana, che non sei un manichino inerme, ma resti a pieno titolo una persona di inestimabile valore.
Povera ragazza. Lo strazio sta raggiungendo proporzioni inenarrabili. La storia infinita offre in quest’ultima fase il penoso valzer delle Regioni, che prima sembrano offrirti generosamente l’ultimo approdo, poi all’improvviso s’incartano nel caos dei ma, dei se, dei però. A questo balletto non va iscritta la Lombardia, che se non altro può rivendicare d’essersi subito rifiutata a qualunque intervento forzato sul tuo destino. Ma gli altri, al di là di annunci e proclami, più che altro si barcamenano.
Sembrava che la soluzione immediata fosse quella del Friuli. Poi sono sorti problemi: non meglio precisati, ma sufficienti a congelare tutto quanto. Imbarazzi e frenate in Toscana. L’altro giorno sembra farsi avanti il Piemonte. La presidentessa Mercedes Bresso annuncia ad un convegno che «nessuno ci ha chiesto nulla, ma se mai dovesse accadere, le sentenze vanno rispettate». Ha tutta l’aria di una soluzione, si parla e si scrive del Piemonte che si offre. Ma al solo sorgere dell’ipotesi, è la stessa Bresso a stopparla. Un equivoco. «Nessuna offerta: a una domanda, ho risposto che davanti a una sentenza io eseguirei. Fermo restando che bisognerebbe trovare una struttura idonea e un medico disponibile. Trovo però spiacevole che una situazione tanto drammatica venga trattata con superficialità: parlare di offerte da parte di una Regione o dell’altra in simili situazioni è quanto meno inadeguato».
Inadeguato. Cara Eluana, ecco l’aggettivo adeguato per il mondo che ti attornia qui fuori: inadeguato. Siamo inadeguati all’enormità del tuo problema, al tuo strano modo d’essere, per noi così critico e indefinibile, perché non ci riesce proprio di chiamarlo vita, anzi ci sembra solo un inutile anticipo di morte, benché nessuno riesca neppure a chiamarlo morte, perché morte assolutamente non è. Con molta umiltà, potremmo tutti quanti ammettere che siamo troppo piccoli e limitati, davanti alla grandezza del mistero. Potremmo limitarci a pretendere dal Parlamento una legge sensata, equa, la migliore delle leggi possibili, chiedendo alla politica uno sforzo di profondità, o di altezza, o di saggezza, per una volta fuori dal pollaio quotidiano degli interessi bottegai. Potremmo cioè fare in modo che casi come questo, quando mai il destino decidesse di imporceli nuovamente, fossero almeno sottratti all’arbitrio, alle lune, ai calcoli di questo o di quello, precipitando le famiglie nella solitudine delle decisioni e dei dubbi più disumani.
Sventurata Eluana, purtroppo non ne siamo capaci. Come vedi, ci riesce soltanto di chiudere e riaprire, un giorno dopo l’altro, la tua storia infinita. Già si parla di ricorsi al Tar: davanti all’altezza di certi temi, finiamo regolarmente alle carte bollate. Per questo, oggi, nessuno può dirti quando davvero finirà.

A molti di noi, capaci solo di silenzio e di sgomento, non resta che chiederti scusa. Stanne certa, almeno di questo: la tua storia infinita non finirà mai nemmeno dentro di noi, che abbiamo imparato a capirti e a volerti bene, anche se non hai mai detto una sola parola.

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