Mi trovo in un campo a raccogliere olive, io che odio la natura, io che non esco di casa perché a casa ho tutto ciò che mi serve (basta funzionino il Wi-FI e Glovo), io che non ho mai fatto un lavoro manuale (perfino se devi atttaccare un quadro chiamo qualcuno che me lo attacchi) a parte battere tasti su un computer, che ci faccio qui? Il cielo è stupendo, una splendida giornata di sole, la luce filtra dalle nuvole, l’aria sembra ferma e tira una leggera brezza e mi chino su un terreno che non mi sporca e sento una voce che mi dice “Fermo, mi spari? Non muoverti”. Mi giro, e questo tizio con uno zaino enorme mi fa, puntandomi un fucile: “Non voglio spararti, voglio raccogliere olive con te”. Sono impazzito? Mi sono rincoglionito tutto d’un botto? Macché, ora vi spiego.
Come i miei lettori sanno da anni gioco solo a Call of Duty, certo non sempre le stesse mappe (ogni anno cambiano ma la zuppa, ammettiamolo, è sempre quella, Activision vive di rendita da quasi due decenni) e nell’attesa di Black Ops 7, il nuovo Cod, che uscirà il 14 novembre, ho deviato su questo ARC Raiders di cui parlavano tutti, e non perché ne parlano tutti (anzi, quando tutti parlano di una cosa la evito). Volevo se davvero non si trattasse solo più di uccidere ma di sopportarsi a vicenda, almeno per il tempo necessario a restare vivi, e anche perché l’ambientazione mi ricordava tanto Fallout, gioco da me amatissimo prima che mi fissassi con Cod.
ARC Raiders lo ha creato Embark Studios, la casa svedese fondata da ex sviluppatori di Battlefield, e in pochi giorni è diventato il fenomeno più discusso su Reddit e Twitch e Discord e Youtube e insomma tutti a giocare a ARC Riders, tutti pazzi non per Mary ma per ARC Riders, tutti a dire che era un’esperienza unica, anche streamer di cui mi fido, tipo l’ucraino anticheater e mangiatore di arachidi Kyborg (l’unico streamer famoso che mi risponde al telefono quando lo stalkerizzo), e con server saturi e giocatori che raccontano di essere “diventati un’altra persona” (questo mi ha convinto a provare, siccome non mi sopporto più e se posso diventare davvero un’altra persona ci metto la firma, soprattutto se posso farlo senza alzarmi dal divano).
Trama: siamo su un pianeta devastato dove la superficie è controllata dalle macchine, gli ARC, mentre gli umani sopravvivono sottoterra nella colonia chiamata Speranza, salendo in superficie solo per razziare risorse e poi tornare vivi, se ci riescono. La solita minestra postapocalittica, e però non è questo il punto.
L’ambientazione (dicono molti) è ispirata a Napoli e alla Campania: Everyeye e Multiplayer.it, per esempio, hanno riconosciuto tra le rovine post-apocalittiche scorci della Galleria Umberto I, la segnaletica della metropolitana di Toledo, nomi come Acerra Spaceport e un vulcano che sembra il Vesuvio, e persino TV Sorrisi e Canzoni ha scritto che “è proprio la città partenopea, anche se sarà difficile riconoscerla”. Vabbè, non è che ci sono entrato per questo, io ho tutti i parenti a Napoli e non ci vado mai, come diceva Alberto Arbasino nel suo capolavoro Fratelli d’Italia “mai scendere più a sud di Milano”, e già abito a Roma, dove bruciano gli autibus e crollano i monumenti.
Tra l’altro Embark non l’ha mai dichiarato apertamente, sarebbe più corretto dire che si tratta di una Napoli-in-versione-futura, una Napoli filtrata attraverso l’immaginazione nordica, un’Italia meridionale resa aliena dalle macchine e dal tempo, in ogni caso Napoli o non Napoli chissenefrega.
ARC Raiders appartiene al genere degli extraction shooter: giochi in cui non vince chi uccide di più, piuttosto chi riesce a uscire vivo con ciò che ha raccolto, per cui ogni incursione è un viaggio a tempo dove si scende e si esplora e si combatte e si accumula e si tenta di estrarre tutto quello che abbiamo trovato prima che arrivi qualcuno più armato o che le macchine ti uccidano.
Il sistema di loot ti obbliga a cercare materiali senza fine, tipo alluminio, rame, ferro, silicio, fibre sintetiche, carburante, batterie, schede, valvole, chip, bulloni, pannelli, componenti ottici, tessuti tecnici, plastica compressa, e a volte persino sostanze biologiche di origine ignota, e tutto serve a qualcosa, soprattutto a costruire armi, riparare moduli, potenziare droni, e migliorare equipaggiamenti. Più cose ti porti via, più potrai migliorare il tuo equipaggiamento, a meno che tu non venga ucciso durante l’esplorazione, dalle macchine (gli ARC) o dagli altri player.
Quindi i nemici sono sia le macchine che altri player, e qui viene l’aspetto interessante, in quanto spesso gli altri player si coalizzano con te (soprattutto se giochi da solo, in singolo). Riflessione sociologica: l’umanità si compatta d’istinto, chi ti ha appena sparato si mette al tuo fianco, chi ti ha rubato il bottino viene attaccato da un ARC che attacca anche te e ti copre le spalle e tu a lui e ci si copre a vicenda e si fa amicizia.
Insomma, raccolgo tutto quello che trovo (tutto serve) e sì, perfino le olive, e perché stessi raccogliendo olive come un deficiente in un campo l’ho scoperto sul campo di battaglia, parlando con altri giocatori che non mi hanno sparato e mi hanno pregato di non sparargli: quelle olive che avevo cercato per ore, tra droni e rottami, servivano a nutrire un gallo, Scrappy, il quale vive a Speranza e sarà il tuo alleato digitale.
Non so, forse ARC Raiders è davvero il videogioco del momento non perché cambi il modo di sparare né la meccanica della tipologia del gioco (in terza persona oltretutto, io odio la terza persona, tanto nei miei romanzi quanto nei videogiochi), né perché la grafica è bellissima, forse ti costringe a scoprire che anche nella vita facciamo lo stesso: il nemico del mio nemico diventa mio amico, soprattutto se il nemico ha altri interessi che far fuori me. Per carità, ho il sospetto che questa situazione durerà poco, il gioco è uscito appena da una settimana e tra un mese diventeranno tutti più esperti e più cattivi, meglio approfittarne (tanto tra una settimana sarò già tornato a Call of Duty).
Mi viene in mente una frase popolare, quando ti dicono, per denigrarti, “vai a raccogliere olive”. A parte che se non ci fosse chi raccoglie le olive non avremmo l’olio, io però ora torno a raccogliere olive, sono uno scrittore, non un agricoltore, ma Scrappy ha fame e mi serve il suo aiuto.