
C'è chi nasce per fare il pittore, chi per fare lo scrittore, chi l'artista. Chi per fare biciclette e poi un giorno diventa ingegnere... Ernesto Colnago, 93 anni a febbraio, ha ricevuto ieri dalle mani della magnifica rettrice del Politecnico di Milano Donatella Sciuto la laurea ad honorem in ingegneria meccanica. Giusto così. Giusto traguardo per un «genio» che nella sua vita ha sempre giocato d'anticipo e che, con le sue intuizioni ha rivoluzionato il ciclismo. «Fin dal 1954 quando aprì la sua prima bottega- ha spiegato nelle motivazioni della proclamazione il preside della Scuola di ingegneria Lorenzo Dozio- si è impegnato nella progettazione, nella costruzione e nel collaudo di biciclette da corsa e da strada apportando a questo settore un incommensurabile contributo».
E basta ascoltarlo qualche minuto per rendersi conto che è avanti, che è uno veloce, uno di quelli che le curve le ha sempre viste prima. Con la sua impresa e con le sue biciclette, che ancora oggi portano il suo nome anche se da qualche anno ha passato la mano ad un fondo di investimento arabo, rappresenta l'ultima generazione di quegli imprenditori fatti da sè, geniali, assennati, tutti casa e bottega che hanno permesso all'Italia di ricominciare a credere nel futuro dopo le macerie della guerra. Ci voleva gente così per ripartire, per raccontare al mondo di cosa fosse capace l'imprenditoria italiana, di che sacrifici servivano, di quali intuizioni, di quanta passione fosse necessaria per far diventare un lavoro, nel caso di Colnago una bicicletta, un'opera d'arte.
Un percorso straordinario che ha affiancato al talento l'applicazione, la curiosità e il metodo. «Quando oggi pensiamo a uno startupper- ha spiegato nella laudatio il direttore del Dipartimento di Meccanica Marco Belloli- immaginiamo un giovane in un garage della Silicon Valley o nei nostri laboratori del PoliHub. In Italia nel Dopoguerra questi luoghi erano le botteghe e i pionieri erano gli artigiani come Colnago che con il loro lavoro hanno fatto rinascere il sistema industriale italiano».
C'erano una volta gli uomini così dal cervello fino e le mani d'oro che trasformavano in solide realtà anche i sogni più visionari. «Ingegneri» sul campo capaci di progettare, analizzare, realizzare sistemi meccanici traducendo le idee in soluzioni concrete, capaci di creare macchine che funzionano e che resistono. Colnago ha fatto tutto ciò partendo da zero, da una famiglia umile con Antonio ed Elvira, i suoi genitori, che volevano che continuasse a fare il contadino perché la terra c'era, rendeva e un paio di braccia in più facevano comodo. Ma lui sapeva che sarebbe finita come è finita. La sua storia se l'è scritta tutta da solo dal quel bugigattolo «5×5» a Cambiago dove metteva i raggi alle ruote. «Montavo quelli delle bici alla Gloria- racconta l'ingegner Ernesto- Sono tornato una sera a casa col primo stipendio, qualche spicciolo, delle caramelle al miele e un barattolo di marmellata e diedi tutto a mio padre che chiamò mia mamma e disse: bene, cambiamo la Moka...». Poi l'incontro con Fiorenzo Magni, il primo impiego da meccanico al Giro d'Italia e la bottega che pian piano diventa il laboratorio del suo talento. Lì, tra le tante intuizioni, nascono nel 1972 la bici superleggera da 5,750 kg, che segna un'epoca con il record dell'ora di Eddy Merckx in Messico; la prima bici in carbonio costruita dopo l'incontro il «Drake» Enzo Ferrari e che rivoluziona produzione e mercati; la prima forcella dritta per le bici da corsa e negli anni Duemila le prime bici montate con i freni idraulici a disco. Dieci anni fa dalle officine di Cambiago esce poi il primo telaio monoscocca in carbonio, il più leggero mai prodotto ed è quello che negli anni successivi permette a Tadej Pogaar di conquistare il Tour de France.
Tutto ciò con la quinta elementare che una volta contava, eccome se contava. Tutto ciò con l'«ossessione» di migliorarsi, di sperimentare, di mettere in pratica quell' «ingegneria buona» che ha sempre avuto tra dita delle sue mani. Un'avventura che in tutti questi anni conta più di ottomila vittorie e che ha incrociato campioni come Magni, Nencini, Merckx, Motta, Saronni, Bugno, Freire, Ballerini Museeuw, Rominger, Tonkov, Zabel e Petacchi. Tre mondiali nel ciclocross con Wout Van Aert ed ora Pogacar, «el fioeu» come lo chiama lui con affetto. Una vita che sembra una favola e forse lo e che lo ha portato ad incontrare grandi imprenditori, grandi manager, statisti, presidenti, anche un pontefice, Karol Woityla a cui donò una bici da corsa che poi riacquistò in una asta dopo la sua scomparsa, e una bici da passeggio che il papa usava a Castel Gandolfo.
Colnago e la Colnago, da Cambiago nel mondo, in quel pezzo di fabbrica dove prima si costruivano bici e che ora ospita il Museo «La Collezione» che racconta la meraviglia della sua opera. Storia, futuro e una laurea dedicata a chi ha lavorato al suo fianco, ai suoi campioni ma soprattutto alla sua famiglia. Un punto fermo. «Ma soprattutto a mia moglie Vincenzina con cui ho passato più di settant'anni...
» dice l'ingegner con la voce rotta dalla commozione. Anni fa aveva costruito per lei una bici bianca con le farfalle sul telaio segno di leggerezza e libertà. Vincenzina oggi non c'era, non c'è più. Ma sarebbe stata orgogliosa del suo ingengnere...
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