Letteratura

Ernst Jünger e il "nodo" dell'incontro-scontro tra Oriente e Occidente

La sfida archetipica segna tutta la storia della civiltà: sempre in bilico, mai risolta

Ernst Jünger e il "nodo" dell'incontro-scontro tra Oriente e Occidente

Erano passati quattordici anni, non molti, eppure era tutta un'altra storia. Nel 1939 usciva Sulle scogliere di marmo il romanzo simbolico di Ernst Jünger, uno dei racconti più intensi della letteratura del primo Novecento, un puro capolavoro. Nel 1953 lo scrittore pubblica un saggio inquietante e nel medesimo tempo un classico: Il nodo di Gordio, che suscitò una vivace discussione intellettuale. In mezzo c'erano state la guerra, la catastrofe tedesca, la vergogna tedesca, la sconfitta di tutta l'Europa, con i russi a Berlino, pronti ad avanzare ancora: la bandiera rossa sventolava sprezzante sulle rovine del Reichstag «millenario». A pochi metri il bunker sotterraneo con il corpo carbonizzato del Führer. Ernst Jünger era stato coinvolto nell'attentato fallito a Hitler del 20 luglio del 1944. Il suo nome venne depennato dalla lista dei condannati a morte dallo stesso Führer. Lo scrittore dovette immediatamente abbandonare Parigi, sparire in un villaggio tedesco. Con l'arrivo degli alleati fu sottoposto alle aspre pratiche di denazificazione, consistenti per lui nel divieto di pubblicare, che venne ritirato nel 1953. Nello stesso anno usciva un saggio sorprendentemente affine di A. Toynbeee: The world and the West; si era pronti a riaprire una grande discussione sulle rovine dell'Occidente.

La Germania di Jünger era un campo di macerie materiali e ancor più morali e spirituale, il figlio morto in combattimento sulle Alpi Apuane, vittima forse di fuoco amico in quanto dissidente del regime. Malgrado tanto dolore, il saggio Il nodo di Gordio è perfetto come un bassorilievo greco di travolgente bellezza stilistica e densità intellettuale: si avverte già dall'incipit la mano dell'artista e del pensatore. «Oriente e Occidente: negli avvenimenti mondiali questo incontro non è soltanto di primaria importanza, ma rivendica un'importanza tutta particolare. Fornisce il filo conduttore della storia, l'inclinazione dell'asse rispetto all'orbita solare. Balenando sin dagli albori, i suoi motivi si dipanano fino ai nostri giorni. Con tensione sempre rinnovata i popoli salgono sull'antico palcoscenico e recitano l'antico copione. Il nostro sguardo si fissa soprattutto sul fulgore delle armi che domina la scena».

La visione è nitida e riconosce gli antichi attori: i Sarmati, i Persiani, i Tartari, le masse enormi dei popoli dell'Asia, e dall'altro parte i valorosi spartani, greci, romani, crociati e templari: Oriente e Occidente. A leggere oggi quelle pagine di settant'anni fa il pensiero riconosce le tracce visibili della storia negli attacchi notturni dei nuovi Sarmati sugli operosi villaggi della Vodolia, della Galizia fino alle «rive del Dnipro, Muro di Berlino che spezza l'Ucraina» (titolo del quotidiano La Repubblica), mentre Massimo Cacciari apre il primo numero dell'anno de La Stampa con un articolo in sorprendente consonanza con l'intuizione storico-mitica di Jünger: «L'Occidente che non riesce a sciogliere i nodi di Gordio», ma con una curvatura irenica che non è certo la prospettiva di Jünger, la cui forte impressione mitica fa riapparire gli archetipi dello scontro epocale tra due civiltà, tra due antropologie, tra due etnologie. Riaffiora, in Jünger, la grande tradizione culturale tedesca, quella che con Nietzsche aveva fondato l'antinomia cultural-spirituale tra apollineo e dionisiaco che con Thomas Mann e Oswald Spengler si era precisata nel contrasto fondante tra Kultur e Zivilisation, tra spirito e democrazia. Le radici intellettuali di Jünger risalivano al monumentale Matriarcato di J. J. Bachhofen del 1861 in cui il regno, oscuro delle madri è contrapposto al dorico, apollineo sorgere degli Dei luminosi dell'Olimpo, già intuito dai Veda. Il sigillo oriente-occidente era stato affrontato, dalla prospettiva tradizionale, da Réne Guénon nel 1924 in un saggio d'immensa risonanza. In realtà il contrasto era apparente: l'Occidente evocato dal pensatore tradizionalista francese era privo del fulgore olimpio scolpito da Jünger nel suo saggio, cui rispose nel 1955 Carl Schmitt, replica che a appare in appendice a Il nodo di Gordio jüngeriano. Oggi il libro è ripubblicato da Adelphi insieme a un utilissimo aggiornamento sull'intera discussione a cura di Giovanni Gurisatti (che ha anche tradotto con Alessandro Stavru i saggi dei due maestri tedeschi).

Con Il nodo di Gordio Jünger torna alla classica grandezza stilistica delle Scogliere di marmo: nel saggio il mondo confuso barbarico, oscuro, «asiatico» del Forestaro - il principe del caos del romanzo - incarna il polo dell'Oriente, quello di una umanità senza la luce della coscienza, a cui la civiltà d'Occidente è pervenuta con immensi sforzi, ché la storia nulla regala: «Per dimostrare che lo spirito libero domina il mondo si paga il prezzo più alto. Questa è la prova che dev'essere superata nel sacrificio. Con essa bisogna mostrare che il libero governo è superiore ai dispotismi, che i liberi combattenti pesano più delle masse e che le loro armi sono meglio congegnate e di più lunga gittata. Si arriva così ai momenti di svolta, nei quali gli spiriti si gettano nella mischia. Eserciti immensi vengono affrontati, incalzati nelle valli, nelle sacche, nelle gole, ricacciati nei mari o negli stretti. I superstiti fuggono, i loro capi si danno la morte in foreste e deserti». Lo scontro diventa epocale, tra i valori della luce e le forze ctonie dell'oscurità, tra la cultura della forma contro l'amorfo. Il sacrificio di Leonida segna non solo un evento bellico, ma un'illuminazione, l'epifania di un nuovo splendore della coscienza: in questo contesto la lotta si sublima in un evento grandioso, epocale: «Adoperata in questo modo la spada è spirituale; è lo strumento di una decisione libera e risolutiva».

A leggere oggi questo saggio insieme con la risposta di Schmitt - si viene travolti dalla lucente bellezza di ogni classica memoria, ma anche dalla sua travolgente attualità. Pare ma è così! - che l'Occidente sia chiamato a difendere, ancora una volta, la sua identità storica, la sua libertà, sulle mugghianti rive del Dnipro nella reiterazione dell'epocale scontro tra civiltà.

Tutto è ancora in bilico, nulla è ancora perduto se l'Occidente saprà elevare al sole i propri vessilli di libertà, ritrovare i valori della propria cultura, e tagliare con decisione l'eterno nodo di Gordio: nell'intramontabile mito «compare un principio spirituale in grado di disporre in modo nuovo e più pregnante del tempo e dello spazio».

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